RADIO FEBBRE
play_arrow
Intervista Allimac - 19.11.2025

Oggi 25 Novembre 2025, ancora una volta siamo qui ad affrontare la giornata contro le violenze sulle donne che dovrebbe essere non solo in un giorno dell’anno ma 365 giorni.
Perché è importante parlarne? Perché ogni giorno, troppe donne subiscono violenza. Non solo fisica, ma anche emotiva, psicologica ed economica. Non possiamo rimanere in silenzio.
Il 25 novembre è la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne ed è stata scelta per ricordare il brutale assassinio delle sorelle Mirabal, attiviste politiche della Repubblica Dominicana, avvenuto nel 1960 per mano della polizia di Trujillo.
Questo giorno è diventato un’occasione globale per sensibilizzare contro ogni forma di abuso, inclusa la violenza fisica, psicologica ed economica.
La violenza sessuale contro le donne e le ragazze affonda le sue radici in secoli di dominazione maschile. Non dimentichiamoci che quelle disuguaglianze di genere che alimentano la cultura dello stupro, costituiscono fondamentalmente una questione di squilibri di potere.
Come drammaticamente noto, la violenza nei confronti delle donne è un fenomeno endemico, presente a tutte le latitudini.
Tuttavia, gli stereotipi e i pregiudizi che esistono intorno ad esso portano spesso a ritenere che si tratti di un fenomeno che non ci riguarda e che si riscontra solo tra le fasce più vulnerabili della popolazione. In realtà i dati ci mostrano il contrario: sia a livello globale che in Italia, si stima che una donna su tre tra i 16 e i 70 anni abbia subito violenza almeno una volta nella vita e che le forme più gravi siano commesse da partner o ex partner.
Sia vittime che autori, quindi, potrebbero far parte della nostra cerchia familiare, amicale, professionale, intima. Senza distinzioni di titolo di istruzione o livello socioeconomico, che invece hanno a che fare sulla possibilità di uscire dal circolo della violenza rendendosi indipendenti.
Per quanto drammatica e senza vie d’uscita la situazione possa sembrare, liberarsi dalla violenza è possibile con il giusto supporto e ogni persona può fare moltissimo. Che si tratti di un ascolto in ambito professionale o di una confidenza in ambito amicale e familiare, fondamentale in questi casi è garantire un clima di accoglienza, rispetto e fiducia.
Spesso ci chiediamo come dobbiamo comportarci quando una donna ci rivela una situazione di violenza domestica, in primis è fondamentale ascoltare senza giudicare, rassicurarla che si crede a ciò che ci sta confidando, sottolineando che la violenza non è mai giustificata e che non è mai una colpa di chi la subisce, ma solo di chi l’agisce.
Bisogna riconoscere e rispettare le difficoltà che le donne possono esprimere, non fare domande come: “Perché non te ne sei andata prima- Perché non lo lasci? – Perché non denunci?”, che le faranno solo sentire giudicate e non comprese nella dolorosa situazione che stanno vivendo.
Ricordiamo, a questo proposito, che sia la separazione che la denuncia sono passaggi molto delicati, che per maggiore tutela andrebbero effettuati con il sostegno di servizi specializzati e la garanzia di un’assistenza legale. In questi casi, è cruciale evitare di minimizzare la situazione o di insinuare che loro stesse potrebbero aver fatto qualcosa per provocare il comportamento violento.
Accogliere e riconoscere i timori che potrebbero esprimere, la loro paura e la confusione circa il da farsi, evitando un atteggiamento giudicante o prevaricatore, non sostituendosi a loro nelle decisioni ma, al contrario, rimandando loro forza e fiducia, garantendo in ogni caso il proprio supporto.
Nonostante il fondamentale lavoro fatto negli ultimi 30 anni, la violenza domestica e, conseguentemente la violenza assistita, sono fenomeni ancora in gran parte sommersi.
Una prima causa di questo è legata al contesto socio-culturale, che porta spesso a negarne o a sottostimarne la gravità (es. è solo uno schiaffo; era solo nervoso), ostacolando così l’emersione e la presa in carico precoce delle vittime, fondamentali per intervenire tempestivamente e arginare i gravi effetti che si ripercuotono sul benessere della donna e dei suoi figli e figlie.
Infatti, sono ancora drammaticamente presenti manifestazioni di minimizzazione e normalizzazione della violenza che viene troppo spesso confusa con il conflitto di coppia sia da parte della cerchia privata, famiglia e amici, sia da parte delle istituzioni.
Di conseguenza la risposta che le donne ricevono quando chiedono aiuto non è necessariamente adeguata e pronta per sostenerle durante tutto il percorso di liberazione.
A livello culturale è, inoltre, ancora molto presente la tendenza al giudizio nei confronti delle donne che hanno subito violenza. La colpevolizzazione della vittima (cosiddetto victim blaming) è una delle forme di vittimizzazione secondaria, poiché sposta il focus dall’autore della violenza e diffonde colpe e responsabilità verso chi l’ha subita.

Conseguentemente, spesso le donne temono e sentono di non essere credute, provano sentimenti di colpa e vergogna per ciò che stanno vivendo o hanno vissuto e per questo possono decidere di non parlarne con nessuno.
In realtà la violenza si caratterizza per definizione come una manifestazione di dominazione, di coercizione, non c’è parità di potere relazionale, non esiste reciprocità, poiché lo scopo di chi agisce violenza è il controllo, la dominazione e infine l’espropriazione dell’altra.
Il comportamento violento, quindi, non è mai responsabilità di chi lo subisce, ma solo di chi lo agisce. Sottolineare questo è fondamentale affinché si comprenda che non si tratta di una dinamica che prevede una responsabilità reciproca, ma di un atto di abuso compiuto dall’uno nei confronti dell’altra e come tale va affrontato.
Inoltre, spesso le donne temono le ripercussioni di una loro eventuale rivelazione della violenza subita poiché, in seguito alle minacce ricevute dall’autore, potrebbero temere per l’incolumità propria e dei loro figli e il partner violento potrebbe minacciare la sottrazione di questi ultimi in caso di separazione.
Per poter riconoscere e contrastare la violenza contro le donne, compresa quella domestica e assistita, è fondamentale, quindi, strutturare interventi di formazione e informazione, sensibilizzazione ed educazione, per migliorare la conoscenza del fenomeno, la risposta ad esso e promuovere un cambiamento culturale che vada verso la decostruzione di stereotipi e pregiudizi di genere, a favore di una cultura di parità e non violenza.
La violenza psicologica spesso agli occhi esterni può risultare difficile comprendere come una donna possa vivere, talvolta per anni, vittima di violenza di coppia, accanto a un uomo che la insulta, la denigra, la controlla, la picchia. Più che vittime della violenza maschile, a volte vengono considerate parte del problema, percepite come corresponsabili della propria condizione.
Le donne “non se ne vanno” a causa di una molteplicità di fattori (individuali, relazionali, sociali, culturali e istituzionali) che creano una rete complessa che le blocca nella relazione maltrattante.
Tra questi fattori, un’attenzione particolare va rivolta al potere della violenza psicologica: una forma di violenza che, in modo subdolo e silenzioso, si insinua all’interno della relazione.
Questa forma di violenza è responsabile della paralisi delle donne maltrattate e spesso è la causa della loro mancata ribellione. È la violenza psicologica, infatti, che crea quel terreno in cui la violenza fisica può attecchire, radicarsi e crescere in intensità e frequenza, fino a sfociare anche nel femminicidio.
Col tempo, viene minata l’autostima della donna. Questo provoca una ferita così profonda da rendere difficile reagire: la persona si sente senza identità, fragile e insicura, un meccanismo che la rende controllabile e quindi più debole, incapace di reagire o di prendere decisioni e qui entra in gioco la violenza psicologica.
Alla donna viene spesso impedita la libertà anche attraverso la manipolazione affettiva, che la porta a ritrovarsi sola senza rendersene conto. In questo modo, l’uomo maltrattante “fa terra bruciata intorno alla donna”, aumentando la sua fragilità e la dipendenza da lui.
La giornata contro la violenza sulle donne è rappresentata da simboli molto significativi, condivisi in tutto il mondo: Orange Day, la giornata arancione: proclamata dall’ONU, si celebra il 25 di ogni mese indossando qualcosa di arancione in ricordo delle sorelle Mirabal che hanno fatto la Storia, ma la Storia si è dimenticata di loro, quelle donne che sono state padrone del loro tempo, e proprio per questo ignorate dallo storicismo maschilista tre sorelle dominicane che si opposero alla dittatura di Rafael Leónidas Trujillo: Patria, Minerva e Maria Teresa, conosciute come le sorelle Mirabal.

Loro ebbero un ruolo fondamentale nel lotta contro la dittatura, fondarono il Movimento 14 giugno e furono sempre in prima linea contro Trujillo.
Le scarpe rosse: la storia delle scarpe rosse nasce in Messico, a Ciudad Juárez, città tristemente nota per il numero sconcertante dei femminicidi avvenuti negli ultimi vent’anni dove l’artista messicana Elina Chauvet espone le sue Zapatos rojos per la prima volta nel 2009, per ricordare le donne vittime di violenza, compresa la sorella assassinata dal marito a soli vent’anni, che nel 2009 posizionò in una piazza della città 33 paia di scarpe femminili, tutte rosse. Divenne simbolo di tutte le vittime di femminicidio e per dire no alla violenza di genere.
La panchina rossa: un altro simbolo del giorno contro la violenza sulle donne, che sottolinea l’assenza delle vittime di violenza e ne commemora il ricordo. Questo gesto è nato in Italia come parte di un progetto di sensibilizzazione contro la violenza di genere. Le panchine rosse sono installate in luoghi pubblici per ricordare che ogni donna che subisce violenza merita di essere ascoltata e protetta. Ogni panchina rappresenta una donna che ha perso la vita a causa della violenza maschile.
Le scarpe rosse e le panchine rosse ci parlano, ci invitano a fermarci e riflettere. È nostro compito non dimenticare e non lasciare mai sola chi lotta.
L’anfora: simbolo di solidarietà (ha due manici) nato da un’iniziativa dell’Unione donne in Italia, la “Staffetta delle donne contro la violenza sulle donne”, che da Niscemi (luogo del femminicidio di Lorena, vittima dei propri compagni di scuola) arriva a Brescia, dove si commemora la morte di Hiina, assassinata per il suo desiderio di “vivere all’occidentale”.
Nonostante violenza di genere e femminicidio siano contrastati da leggi specifiche come la legge sul femminicidio (L. 15 ottobre 2013), in Italia il problema resta ancora estremamente grave e diffuso. I dati mostrano una realtà allarmante: circa il 90% delle donne ha subito violenze psicologiche, il 70% ha sperimentato violenze fisiche, il 50% ha affrontato violenze economiche e il 25% ha subito aggressioni o molestie sessuali (“Violenza domestica”, 2007).
Le statistiche aggiornate al 2025 relative alle chiamate al numero antiviolenza 1522 mostrano una realtà allarmante: la violenza fisica rappresenta ancora la forma prevalente di maltrattamento (39,8%), seguita da quella psicologica (33,8%). A queste si aggiungono frequenti minacce (1.758 casi segnalati) e atti persecutori (816 casi).
I dati ISTAT del primo trimestre 2025 evidenziano come gli episodi abbiano spesso una durata prolungata: Nel I trimestre 2025, oltre la metà delle vittime (53%) dichiara infatti di subirli da anni.
Questa condizione ha un impatto rilevante sul benessere emotivo, portando il 59,5% delle vittime a manifestare stati di ansia e marcata soggezione.
Il report conferma inoltre che la violenza si consuma prevalentemente in ambito familiare e domestico: Anche nel primo trimestre del 2025 la casa si conferma come principale scenario, indicata dal 68,7% delle vittime.
Questo dato spiega la costante centralità delle figure del partner o ex partner come principali autori: i dati del 2025 confermano che il 49,7% delle vittime indica il partner attuale come autore e il 21,6% l’ex partner. A questi si aggiunge un 10,7% di casi in cui l’autore è un altro familiare.
Se conoscete una persona che potrebbe essere vittima di violenza, il vostro supporto può fare la differenza. Spesso chi subisce abusi si sente isolato, incompreso o teme di non essere creduto. Ecco alcuni modi concreti per offrire aiuto.
Ascoltate senza giudicare: Offri uno spazio sicuro in cui la persona possa parlare liberamente, senza pressioni o critiche. L’ascolto empatico è fondamentale per far sentire la vittima accolta e compresa.
Rispettate i suoi tempi e le sue scelte: Non forzate la persona a prendere decisioni immediate. Ogni percorso di uscita dalla violenza è personale e richiede tempo.
Fornite informazioni utili: Potete suggerire il numero antiviolenza e stalking 1522, attivo 24 ore su 24 e gratuito, oppure segnalare la possibilità di rivolgersi a centri antiviolenza presenti sul territorio.
Ricorda che anche il supporto psicologico può essere prezioso, sia per la vittima sia per chi le sta accanto. Parlare con uno psicologo può aiutare a gestire le emozioni e a trovare strategie efficaci per affrontare la situazione.
Oggi esistono numerosi strumenti e risorse che possono aiutare a prevenire la violenza di genere e a sostenere chi ne è vittima. Alcuni di questi sono facilmente accessibili e possono fare la differenza nel momento del bisogno.
Numero antiviolenza e stalking 1522: È un servizio telefonico gratuito e attivo 24 ore su 24, che offre ascolto, supporto e orientamento alle vittime di violenza e stalking. È disponibile anche in più lingue e tramite chat sul sito ufficiale.
App YouPol: Un’applicazione della Polizia di Stato che permette di segnalare episodi di violenza domestica, stalking o bullismo in modo anonimo e sicuro, anche allegando foto e video.
Centri antiviolenza: Presenti su tutto il territorio nazionale, offrono accoglienza, consulenza psicologica, legale e sociale, oltre a percorsi di protezione e sostegno.
App Scudo: Utilizzata dalle Forze dell’Ordine per monitorare e intervenire tempestivamente nei casi di violenza domestica, garantendo maggiore sicurezza alle vittime.
Utilizzare questi strumenti può rappresentare un primo passo concreto verso una maggiore protezione e il recupero della propria sicurezza e dignità.
Donne impariamo a volerci bene e a farci rispettare come persone perché esser donna non è una sciagura o una condanna!
Una donna deve esser libera di scegliere chi amare, come vestirsi, cosa fare, esprimere le proprie idee, far il lavoro che sogna di fare senza esser FERMATA PERCHE’ DONNA! O PERCHE’ SCEGLIE DI NON SUBIRE PIU’ VIOLENZA QUALSIASI ESSA SIA!
Agli uomini dico che imparare a rispettare le donne, educare se stessi a farlo è il primo passo per far in modo che il “contatore” delle vittime di violenza scenda perché quella donna che chiede aiuto potrebbe esser una loro sorella, una parente, la loro mamma… Perché quando diciamo “no” è un no lapidario!
Qualcuno ha detto: “Il DNA dell’uomo non accetta la parità”. E allora, se è scritto nei geni, deponiamo le armi, non si va contro la natura, non si va contro il cromosoma Y.E se nel cromosoma Y c’è scritto che l’uomo è superiore e non può accettare la parità, non abbiamo altro da fare che arrenderci alla natura e smetterla di parlare di educazione sessuale, parità di genere, violenza sulle donne, contro il DNA non si va. Eppure, non so se voi ricordate quella lezione alle scuole medie in cui ci spiegarono piuttosto bene la differenza tra sesso biologico (cromosomi XX per le donne e cromosomi XY per l’uomo) e genere.Il primo, quello sì, determinato dal DNA che contiene l’informazione genetica e ci parla di cromosomi, ormoni, organi sessuali maschili e femminili e loro sviluppo, il secondo, il genere, i ruoli di genere ecc. attinente a tutto quanto ha a che fare con abitudini culturali, codici di comportamenti, educazione, aspettative, stereotipi, insomma con tutto quanto la società si aspetta o costruisce intorno al sesso biologico, determinando il genere di una persona in senso complessivo. Io ero presente a quella lezione, per fortuna, e capii a 13 anni che la parità non era una informazione presente nel cromosoma Y!Oggi, nella giornata contro la violenza di genere, pensavo a questo, a quanta strada c’è ancora da fare non solo per il raggiungimento della parità, unico vero antidoto contro la violenza, ma ancora molto prima. Siamo lontanissimi, ma dipende da noi, la natura non c’entra.

Anche questo anno come l’anno scorso in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne (articolo che potete rileggere sul blog di Radio Febbre al seguente link https://www.lafebbre.ch/2024/11/25/giornata-internazionale-per-leliminazione-della-violenza-sulle-donne/) voglio concludere con la bellissima poesia, di Cristina Torre Cáceres, artista e attivista peruviana risalente al 2011, in cui la protagonista, che parla in prima persona, si rivolge alla mamma e le chiede di “distruggere tutto” nel caso in cui dovesse essere vittima di femminicidio. La poetessa ha scritto questi versi dopo la morte di Mara Castilla, uccisa da un autista.
I versi sono poi diventati il simbolo della lotta contro la violenza di genere, soprattutto nelle manifestazioni del movimento Ni una menos, nato in Argentina il 3 giugno 2015.
Se domani non rispondo alle tue chiamate, mamma.
Cristina Torre Cáceres
Se non ti dico che non torno a cena. Se domani, il taxi non appare.
Forse sono avvolta nelle lenzuola di un hotel, su una strada o in un sacco nero.
Forse sono in una valigia o mi sono persa sulla spiaggia.
Non aver paura, mamma, se vedi che sono stata pugnalata.
Non gridare quando vedi che mi hanno trascinata per i capelli
Cara mamma, non piangere se scopri che mi hanno impalata.
Ti diranno che sono stata io, che non ho urlato abbastanza, che era il modo in cui ero vestita, l’alcool nel sangue.
Ti diranno che era giusto, che ero da sola.
Che il mio ex psicopatico aveva delle ragioni, che ero infedele, che ero una puttana.
Ti diranno che ho vissuto, mamma, che ho osato volare molto in alto in un mondo senza aria.
Te lo giuro, mamma, sono morta combattendo.
Te lo giuro, mia cara mamma, ho urlato tanto forte quanto ho volato in alto.
Ti ricorderai di me, mamma, saprai che sono stata io a rovinarlo quando avrai di fronte tutte le donne che urleranno il mio nome.
Perché lo so, mamma, tu non ti fermerai.
Ma, per carità, non legare mia sorella.
Non rinchiudere le mie cugine, non limitare le tue nipoti.
Non è colpa tua, mamma, non è stata nemmeno mia.
Sono loro, saranno sempre loro.
Lotta per le vostre ali, quelle ali che mi hanno tagliato.
Lotta per loro, perché possano essere libere di volare più in alto di me.
Combatti perché possano urlare più forte di me.
Perché possano vivere senza paura, mamma, proprio come ho vissuto io.
Mamma, non piangere le mie ceneri.
Se domani sono io, se domani non torno, mamma, distruggi tutto.
Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima.
Da parte mia è tutto.
Alla Prossima da SonoSoloParole.
Scritto da: SonoSoloParole
today23 Luglio 2025 401 117
Copyright © 2023-2025 - RADIO FEBBRE
Commenti post (0)