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Otranto e la sua Cattedrale: il Correlativo Oggettivo

 

La prima volta che arrivai qui fu per un’escursione in giornata dalle spiagge caraibiche del Salento ionico (perché, mi dicevano, Otranto non puoi non vederla!).

L’input mi arrivò dalle foto del laghetto nella cava di bauxite, mostratemi da un’amica.

Dopo aver visto quello specchio d’acqua incastonato nella terra rossa, mi spostai verso il centro abitato: prima il castello aragonese, poi il lungomare.

Faceva talmente caldo che pensai a una specie di miraggio. “Non può essere autentico questo posto, sto sognando”, mi dissi. “Oppure devono averlo costruito per i turisti”.

Immaginate un plastico con le case bianche che si stagliano su uno sfondo di sfumature azzurro verdi, e l’orizzonte appena più blu a delimitare il confine cielo/mare: immaginatelo e forse vi avvicinerete a quello che mi si spalancò davanti come una visione, un set cinematografico. 

Al colpo d’occhio mi parve un piccolo dejá-vu di Santorini, ma in piano, con il mare che faceva tutt’uno con la città, senza teleferica. E molto, ma  molto più vivace. 

Ero sempre stata curiosa di vedere questo borgo che si colloca nel punto più orientale in Italia, il primo a  vedere sorgere il sole ogni mattina nonché ad accogliere in anticipo su tutta la nazione il nuovo anno, un luogo che non è mai stato veramente latino, ma era invece nell’antichità un porto greco importante per il commercio con l’Oriente e inglobava terre comprendenti anche Matera.

Ebbene,

quando credetti di aver visto tutto il bello che l’occhio può percepire racchiuso in un solo rettangolo, formato cartolina, incontrai sul mio percorso la Cattedrale, vero cuore pulsante della città, imponente  e prepotente nella sua marmorea bellezza. Facciata romanica, rosone gotico, portone barocco. Fin qui tutto come da copione, quasi scontato, molto simile a  mille altri luoghi, eppure…

Quello che davvero mi colpi’ fu l’energia che sentivo tirarmi verso l’interno, come se anche volendo resistere non avessi potuto passare oltre senza varcare quella soglia. 

E una volta entrata, ecco l’Epifania. 

Conoscevo in teoria il concetto di correlativo oggettivo enunciata da T.S. Eliot, ossia un elemento concreto che ti fa superare i limiti tangibili e ti porta su, verso l’inspiegabile. Camminando lungo quelle navate lo sperimentai per la prima volta di persona e seppi riconoscerlo, dargli un nome; una parte di me era  già stata lì, non importa quando, in quale vita o sogno. Io superai per un attimo il muro del tempo, i miei confini di essere finito.

La guida mi spiegava intanto come era avvenuta l’edificazione della chiesa superiore, quando i Normanni, nell’ XI secolo, presero possesso della città, che fino ad allora era stata greco-bizantina e ortodossa. Tutti i cittadini si misero a lavorare insieme per costruirla, e questo contribuì a creare unità tra occupanti ed occupati. L’intento iniziale era far sì che ciascun visitatore, da qualunque luogo provenisse, non si sentisse straniero e potesse riconoscere all’ interno qualcosa di familiare.

Le chiese sono in genere progettate per fare in modo che il fedele elevi lo sguardo verso l’alto, e il soffitto a cassettoni della Cattedrale non delude, anzi, sembra lasciare senza fiato, ma solo finché gli occhi non scendono a terra, a focalizzarsi sul meraviglioso pavimento a mosaico. Uno dei più grandi in Europa, risale al XII secolo ed è opera di un monaco mosaicista chiamato Pantaleone, di probabili origini greche, che in quest’opera dimostra non solo padronanza della tecnica, ma anche grande conoscenza della teologia e della mitologia medievale. 

Il mosaico raffigura infatti l’albero della vita e include simboli, icone, rappresentazioni che ancora oggi dopo anni di visite, letture e spiegazioni, mi sorprendo intenta a comprendere e a decifrare. Una su tutte catturò da subito la mia attenzione: la figura di Alessandro Magno, alle radici dell’albero. 

Grande nemico dei Normanni e mito dei Greci e Bizantini, sul mosaico è raffigurato come il re superbo; infatti, dopo aver conquistato le terre contese, egli ambisce addirittura a volare, segno di tracotanza, perché secondo i dettami religiosi medievali, al cielo si poteva accedere solo e soltanto andando in Paradiso, mai da vivi. 

Ovviamente l’immagine assume anche un significato politico universale ; I nemici si contrastano, ancora oggi, sottolineandone l’immoralità.

Intanto Continua la mia visita: la navata centrale ospita la storia dell’ Uomo a partire dalla cacciata dall’Eden, e la guida ci spiega che il frutto del peccato non può essere la mela, per ragioni storiche. Nella Cattedrale di Galatina, non lontano da qui, il frutto è rappresentato dal fico, altrove è il dattero e in Sicilia l’arancio. Perché dunque la mela nell’immaginario collettivo? Probabilmente perché in Latino la parola “malus” traduce sia il concetto di “male” che di “melo” e l’associazione è inevitabile.

Subito sopra a questa scena sono raffigurati i mesi dell’ anno, ognuno con le attività che li contraddistingue: semina, cura, attesa, mietitura, riposo. l’uomo, dopo la cacciata, accetta le leggi di Dio e coltiva la terra. Prima il tempo non esisteva, è con la mortalità dovuta al peccato originale che l’umanità lega il suo destino alle stagioni per sopravvivere. 

Fortunatamente c’è spazio anche per la riconciliazione, come raffigurato nella navata destra: dopo Il Dio che crea e quello che giudica, qui c’è il Dio che perdona.

Passo quindi alla Cappella dei Martiri, recentemente proclamati Santi. 

Nel 1480 gli abitanti di Otranto, abbandonati a se stessi dagli Aragonesi, reggenti di turno, furono attaccati e assediati dai Turchi. La loro storia è tristemente nota: invitati a convertirsi all’Islam per aver salva la vita, si rifiutarono. Tutti. 813 persone incluse donne e bambini. Le loro reliquie sono esposte dietro l’altare, insieme alla pietra su cui vennero decapitati al colle della Minerva, appena fuori città. 

In genere le teche sono chiuse, ma in occasione della festa patronale vengono aperte, e io non riesco proprio a guardare quei resti. Passo oltre con gli occhi bassi, cercando di non urtare gli altri visitatori che passano ordinatamente in fila dietro all’altare. 

Scendo infine nella Cripta, ultimo tesoro di questo forziere. È la parte più antica, in quanto in origine la chiesa era paleocristiana: il culto era ancora proibito e i rituali dovevano svolgersi sotto terra, di nascosto. 

Mi colpiscono le colonne che ho la sensazione di avere già visto. I loro capitelli sono forgiati in diversi stili.  La multietnicità del fedele che si attende possa visitare questi luoghi è data proprio dalla varietà: si riconoscono infatti capitelli ionici, corinzi, egiziani, bizantini, islamici, siriani, persiani. Tutti gli angoli del mondo conosciuto all’epoca confluiscono qui.

I marmi e graniti utilizzati sono inoltre di diversa provenienza e qualità: viene dunque dato spazio alla diversità come valore, ancora una volta.

La guida spiega poi che la cripta è una perfetta miniatura di Cisterna Basilica. Non si vedono le basi, perché nella chiesa di Istanbul le colonne escono dall’acqua. Il magico gioco di prospettive e di sovrapposizioni mi incanta.

Prima di terminare la mia visita mi soffermo sugli splendidi affreschi risalenti a un’epoca collocabile tra l’XI e il XIII secolo. Ammiro la Madonna nera con il bambino, bellissima rappresentazione pregiottesca, anche conosciuta come La Madonna nera del buon cammino. E’ intatta: neppure i Turchi osarono distruggerla, perché la riconobbero come imagine sacra, a dimostrazione del fatto che l’arte comunica al di là del tempo, del luogo, della religione, delle appartenenze.

C’è anche un ritratto di San Francesco, a cui è legata una leggenda/storia: si narra che sia venuto in visita nelle Terre d’Otranto prima di imbarcarsi per la Terra Santa, dove ebbe luogo il suo famoso colloquio con il Sultano. Si tratta di un aneddoto attendibile, perché Otranto, per la sua posizione strategica, era un crocevia per tutti i crociati e le compagnie di fedeli diretti a Gerusalemme, e dal  suo porto partivano navi dirette alle volte della Terra Santa. 

Uscendo dalla porta laterale della chiesa, vengo nuovamente catapultata tra i vicoli della città, caleidoscopio di voci, profumi, colori che non hanno eguali. Il vento soffia forte, ma Otranto non trema. A pochi passi, i bastioni proteggono la città antica e mi regalano di nuovo la vista privilegiata del mare, quello da cartolina, a due dimensioni, ma adesso con me ci sono anche le riflessioni che la visita ha generato.

Sono loro a creare nei miei pensieri la profondità che conserverò per sempre.

Si può morire per non rinnegare la propria fede e allo stesso tempo riconoscersi in una città che accoglie chiunque, senza chiedere da che parte arriva, dove sta andando, in che Dio crede, da che parte sta ?

Otranto, un tempo depredata e spopolata, che oggi conta più di 5000 abitanti, mi ha risposto di si. Lei è ancora un crocevia di genti, grazie ai turisti che animano le sue strade parlando tante lingue diverse, ma oggi ha conquistato anziché essere conquistata, splende come un diamante, orgogliosa di aver saputo fare della sua ferita una nuova missione. 

E io, ogni volta che torno, capisco di essere milanese e salentina, bizantina e araba, celtica e cristiana, gentile e giudea. Ecumenica. Cittadina del mondo. Da tutte le culture so che posso prendere un pezzo del mio personalissimo mosaico e metterle insieme per capirne il valore. 

È qui che trovo il mio correlativo oggettivo, l’Eden per sempre perduto e occasionalmente ritrovato da cui noi proveniamo. 

E’ qui che abita tutto l’azzurro del mondo e forse anche qualche sfumatura di verde. 

È qui che vengo a cercare la pace del cuore, e a tratti trovo anche quella dell’anima, perché nella mia anima riconosco e porto ovunque quel po’ Otranto che ha messo in me radici profonde e durature.

Luglio 2023

Otranto e la sua Cattedrale: il Correlativo Oggettivo

6 thoughts on “Otranto e la sua Cattedrale: il Correlativo Oggettivo

  1. Grazie Selene, anche se non ti sei firmata, ti smaschero io! Grazie per queste bellissime parole che mi hanno fatto fare davvero un viaggio onirico nei luoghi che ci racconti, terre che purtroppo non ho potuto ancora visitare, ma che grazie al tuo racconto ho potuto per un attimo almeno sognare. Grazie perché mi hai fatto venire voglia di fare il mio prossimo viaggio in quella terra antica e piena di cultura (e cibo).

    😉

    1. Ne vale davvero la pena, caro Liga, sono sicura che apprezzerai la bellezza della terra e della gente che ci abita. Il cibo? Spettacolo!!!

  2. Già dalla prima volta che ho letto l’articolo, ciò che ha colpito è la tua capacità di mixare alla perfezione descrizioni, raccontare storie e aneddoti, e considerazioni personali, aggiungendo quel tocco di “immaginario” onirico che hai dentro di te, e che sai perfettamente mostrarlo al lettore, rendendo una recensione di un luogo, quasi un incipit di un racconto. I miei complimenti, chiunque conosca un po’ di grammatica può scrivere… Ma saper scrivere è un’altra cosa, e tu lo sai fare alla grande.

    Ps. Mi scuso per il ritardo mostruoso nel commentare

    1. Grazie Pam, mi fa piacere che tu abbia apprezzato la lettura delle mie riflessioni su Otranto, che considero una delle più belle città di mare nel nostro paese 🙂

  3. Leggere una simile descrizione di Otranto è qualcosa di magico e quasi surreale.
    Chi legge questo racconto, questa piccola perla descritta da Selene, si immedesima subito nelle parole scritte e con la fantasia può volare sino lì, per ammirare quelle meraviglie.
    Saper descrivere i colori e sopratutto le emozioni non è cosa semplice, decisamente una recensione mille volte meglio di Tripadvisor.
    Ti viene quella voglia di prendere il primo volo e di raggiungere la città. Se avessi descritto anche il cibo, secondo me, avremmo potuto sentire odori e sapori.
    Scritto in modo eccelso, complimenti Selene.
    Nevermind

    1. Grazie Nevermind: il tuo commento mi fa molto piacere, perché so quanto ami la parola scritta. Grande emozione nel leggerti qui.

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