Radio Febbre
Intervista Steve - 25.06.2025
The Black Keys, duo musicale statunitense formato nel 2001 ad Akron, in Ohio, da Daniel Auerbach cantante e chitarrista e da Patrick Carney batterista, riconosciuta come uno dei più rilevanti gruppi garage rock nel primo decennio degli anni 2000, la band, dalle forti radici blues rock e vincitore di un Grammy, ha pubblicato l’8 agosto 2025 il loro 13esimo album in studio dal titolo No Rain No Flowers.
Il loro nome deriva da un artista che il padre di Auerbach, un mercante d’arte, supportava, utilizzava il termine black keys come insulto per chiamare le persone
Prodotto dalla band stessa e registrato agli Easy Eye Sound Studios di Nashville, il nuovo album vede la partecipazione di importanti collaboratori, tra cui i cantautori vincitori di un Grammy Rick Nowels e Daniel Tashian, nonché il leggendario tastierista e produttore Scott Storch (Dr. Dre, The Roots).
L’economia potrebbe rallentare, ma la fabbrica di retro-rock dei Black Keys continua a funzionare a pieno regime. “Il tempo non rallenta-Ti passa accanto-Non importa quanto ci proviamo”, intona Dan Auerbach nella scorrevole traccia che dà il titolo a ” No Rain No Flowers”. Se non altro, Auerbach e il batterista Patrick Carney hanno costruito il loro successo evitando il tempo, anziché arrendersi ad esso. Nella loro realtà, il rock rimane sospeso nell’ambra che gremisce le arene, le vibrazioni delle radio degli anni ’70 sono un’eterna fonte di energia e due affiatati fratelli di Akron, Ohio, riescono ancora a formare band che durano decenni.
Di recente, però, la carriera dei Black Keys, unica nel suo genere, ha subito un piccolo intoppo. Il tour previsto per il loro ultimo album, Ohio Players del 2024, fu stato cancellato e Auerbach e Carney hanno rotto con il loro management. Così, invece di fare un grande tour, si sono ritirati e hanno realizzato un buon album.
Per Ohio Players, il duo, spesso ermetico, ha coinvolto collaboratori come Beck, Dan the Automator e Noel Gallagher per aggiungere nuovi sapori al loro caratteristico garage-rock ad alta definizione.
No Rain, No Flowers è altrettanto collaborativo, con grandi nomi dello studio come il produttore di Lana Del Rey Rick Nowels, il veterano dell’hip-hop/R&B Scott Storch e Daniel Tashian (che ha diretto il memorabile Golden Hour di Kacey Musgraves) che si sono uniti alla band nel loro Easy Eye Sound per contribuire a creare uno dei loro LP più precisi di sempre.
Il disco comprende 11 tracce, 36 minuti di musica suonata perfettamente, album che riflette sia sui momenti di crisi che su quelli di luce come sottolineato dalla title track.
Nel passato utopico dei Black Keys, la stazione radio più importante della città trasmette hard rock accanto al punk accanto al blues accanto al funk, al soul e al glam, senza distinzioni razziali o sociali (e nemmeno le vendite dei dischi) che ne intralcino il flusso.
Per la copertina dell’album sono riproposti font tipografici retrò che campeggiano, con il titolo dell’opera, su un nastro in un tatuaggio old school con una rosa rossa, unica nota di colore su un fondo bianco e nero, sul petto di un biker che fuma e che bagna con le sue lacrime il fiore reciso. La stessa grafica aveva già accompagnato i primi singoli estratti “No Rain, No Flowers”, “Babygirl”, “The Night Before”.
L’euforico groove di “The Night Before” celebra l’inebriante fascino della notte e ci racconta il risveglio di un memorabile e allucinante post sbornia (“I’m seeing stars everywhere I go”), con tanto di caduta dal letto. Il singolo è stato accompagnato da un divertente video in bianco e nero diretto da Running Bear, che vede il facchino e la cameriera di un hotel risvegliarsi, dopo che la notte prima hanno abbandonato le proprie mansioni e infranto tutte le regole, assaltando la lavanderia, rubando l’alcool dal frigobar della stanza di un ospite, ballando e correndo per i corridoi, saltando sui letti, per poi tenersi al caldo l’un l’altra a luci spente (“I got a girl who treat me right / Who keep me warm when I turn out the light”). L’ode alla notte come dimensione di evasione negli eccessi e, insieme, di smarrimento si ritroverà anche in “A Little Too High”.
Canzoni come “The Night Before” e “Babygirl” sono euforici esercizi di bubble-funk con colpi di scena intelligenti, come il ronzio traballante della chitarra indie-rock nella prima.
La presenza femminile domina con elegante sensualità “Babygirl” in cui è descritta con leggerezza la donna desiderata (“I just wanna put my arms around you / To tell you you’re my babygirl”), ancora più bella quando è persa nei suoi sogni ad occhi aperti.
Un amore luminoso e ancora in divenire trova spazio nella ballad funky “All My Life”, mentre desiderio e rimpianto trasudano dalla più cupa “Down to Nothing”: chitarre più sporche e basso distorto per dolore della perdita e solitudine spesi in bar solitari, dopo una relazione finita.
“Down to Nothing” è una benedizione stoner-soul supplichevole e supplichevole.
In “On Repeat”, la difficoltà di dimenticare momenti, immagini, parole, addii (“On repeat / I keep seeing you saying goodbye”) che si ripropongono ossessivamente a ripetizione, giorno dopo giorno davanti agli occhi e nel labirinto di pensieri intrusivi, il cui andamento ciclico è reso dal ritmo funk ipnotico del brano.
L’accattivante “Make You Mine” dal gusto pop psichedelico anni ‘70 si fa più esplicita, ma risulta meno sexy di quanto vorrebbe, questa traccia segue un groove sontuoso fino a un ritornello in falsetto fluttuante, venato di Bee Gees.
“Man on a Mission” è un blues-metal stomp distorto, risulta molto più seducente, con la voce rauca di Dan, un pezzo che riporta alle vibes di “El Camino” (album del 2011).
“Kiss it” invece, ci diverte, presentandosi ironicamente sfacciata e provocatoria.
In maniera del tutto inaspettata, infine, arriva in chiusa una vulnerabile ballad folk acustica alla Dylan: introspettiva e raffinata, “Neon Moon”, parla di solitudine e smarrimento per le strade della vita in un mondo artificiale in cui non ci sono più punti di riferimento saldi da seguire sulla volta celeste, quando si viaggia di notte. Tutto ciò che può riportarti a casa è solo una pallida insegna al neon, una luna certamente meno mutevole e incostante di quella vera.
“Neon Moon” èunaspinta southern-rock del boogie rock intriso di Skynyrd “A Little Too High” e la ballata intrisa di Allman Brothers.
Forse grazie alla presenza di musicisti di prima categoria, l’album è fluido e spesso ben lontano dalla routine garage su cui hanno costruito la loro carriera, ma non è privo di cuore. Le recenti difficoltà della band (che includono alcune sfide personali per Carney) sembrano influenzare la loro scrittura, aggiungendo un po’ di zavorra emotiva a una band i cui testi spesso sembrano solo riff di divertenti stereotipi del rock & roll.
“Non lasciarti abbattere troppo a lungo – Perché un cambiamento sta arrivando presto – Puoi sempre trovare la strada di casa alla luce della luna al neon”, dice Auerbach, forse alludendo al modo in cui la musica e la fratellanza della sua band lo hanno sostenuto. Le interruzioni vanno e vengono. La competenza meccanica dei Black Keys è una meraviglia duratura.
A oltre vent’anni dall’inizio della loro carriera, The Black Keys continuano a fare musica alle loro condizioni, guidati dall’istinto, dalla passione e da una ferma volontà di non scendere a compromessi. No Rain No Flowers è una testimonianza del profondo impegno della band verso il proprio mestiere e della loro creatività sempre viva.
Immaginatevi di esser a Nashville o nel New Mexico o, nei sobborghi di Londra o Edimburgo, in un’afosa notte d’estate, entrate in un cocktail bar dal sapore vintage; qualcuno mette su dei vecchi vinili del secolo scorso, un po’ blues, un po’ rock anni ‘60-’70, un po’ soul, persino un po’ funk. Prendete il vostro drink ghiacciato e una locandina dalla grafica pop retrò psichedelica vi dice che siete finiti ad uno dei famosi “Record Hangs”, quei dance parties organizzati dai membri dei The Black Keys, che si alternano alla consolle, durante il dj set, per suonare ai fan estasiati rari vinili 45 giri, estratti dalla loro collezione, avete visualizzato l’atmosfera, riuscite a sentire il groove? Ecco! Questo è ciò che si respira e si sente in No Rain, No Flower.
No Rain No Flowers offre un suono eclettico, plasmato dall’energia e dallo spirito dei Record Hangs, le celebri feste-dj set organizzate dai The Black Keys, durante le quali Auerbach e Carney si alternano alla consolle per suonare rari, ma incredibilmente potenti, 45 giri in vinile, pescati dalla loro impressionante collezione, davanti a folle entusiaste composte da fan di lunga data e nuovi arrivati. Questi eventi elettrizzanti, curati nei minimi dettagli, hanno influenzato direttamente il groove coinvolgente e ballabile del nuovo disco.
Dimentichiamoci il ringhio blues-rock dei primi anni: qui si vira verso un composto sofisticato, maturo, intriso di soul, con spruzzate garage rock e una produzione avvolgente che privilegia la levigatezza alla tensione. Il disco nasce, come detto sopra, dalle celebri Record Hangs, le serate in consolle organizzate dal duo, e si sente: è un album da ascolto rilassato, da fondo sala elegante, che privilegia l’atmosfera al colpo di coda. Il lavoro in studio con songwriter di razza, Rick Nowels, Daniel Tashian, Desmond Child, Scott Storch, riflette una ricerca più stilistica che emotiva, più affabile che ispirata.
Brani come “The Night Before” e “Babygirl” scivolano via con mestiere, tra funk ordinato e garage d’alta scuola. “Make You Mine”, firmata con Desmond Child, strizza l’occhio anche al soul di Philadelphia con mestiere più che con passione. E mentre “Kiss It” e “On Repeat” flirtano con l’estetica delle AM radio d’epoca, l’impressione è quella di una collezione di brani gradevoli ma raramente necessari.
Bisogna dire che Il culto per tutto ciò che è analogico si percepisce fin dall’estetica vintage, fedele al consueto gusto dei The Black Keys, scelta per l’artwork del disco.
Sia la title track electro-rock, che delinea perfettamente la filosofia abbracciata dal duo, necessaria per superare le maree avverse della vita e ritrovare il sole dopo i momenti bui (“Baby, the damage is done / It won’t be long ‘til we’re back in the sun”), perché da maggior dolore non può che derivare maggior forza!
Quando il sole sta a metà tra l’acqua del mare e l’azzurro del cielo, quando i colori diventano più caldi e si alza un piacevole venticello che rinfresca corpi caldi e arrossati, quando la spiaggia appare come un campo pieno di alberi colorati senza rami, è il momento di fare l’aperitivo. Per la colonna sonora serve qualcosa di non di troppo elaborato, niente che possa turbare quel momento di pace tanto cercato, nulla che possa sconvolgere la sensazione di essere sospesi nel tempo.
Stilisticamente eccellenti, i testi sono ben studiati, la scrittura è attenta e pensata, le parole sono scelte con la maestria di chi sa esattamente cosa vuole raccontare. Si intravede il malessere per quanto accaduto nel 2024, un brutto periodo diventato l’evento dal quale estrarre un po’ di ispirazione.
Che dire, il risultato è un disco che non si limita a guardare indietro o a ripetere formule collaudate: è piuttosto come riaccendere i motori dopo una lunga sosta, sentire il ronzio crescere e vedere dove si va!
Non mi resta che dirvi: Buon ascolto!
Da parte mia è tutto.
Alla Prossima da SonoSoloParole.
Scritto da: SonoSoloParole
today28 Luglio 2025 18 93
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