Radio Febbre
Intervista Steve - 25.06.2025
Fabri Fibra il 20 Giugno 2025 pubblica la sua undicesima fatica da solista a tre anni di distanza dall’album Caos dal titolo Mentre Los Angeles Brucia.
Fabri Fibra, pseudonimo di Fabrizio Tarducci, un rapper italiano e fratello maggiore del cantautore e produttore discografico Nesli, (al secolo Francesco Tarducci) nasce a Senigallia, 17 ottobre 1976, esordisce nell’ambiente dell’hip hop underground a metà degli anni novanta con il nome Fabbri Fil, facendo parte per diversi anni degli Uomini di Mare e dei gruppi derivati da questi ultimi: i Qustodi del tempo e il collettivo Teste Mobili, per poi debuttare come solista con il nome d’arte di Fabri Fibra nel 2002 con l’album Turbe giovanili.
Tra il rapper e il fratello non ci sono buoni rapporti dal settembre del 2008, non dichiarando mai il motivo del loro distacco, ma più volte Nesli ha fatto intendere che dietro questa lite ci sia di mezzo il lavoro e il modo di vedere le cose completamente diverso, Fabri Fibra invece in un’intervista ha affermato: “Nesli mi attacca come musicista e quindi attacca la mia persona. Ma lui per primo dovrebbe scindere l’aspetto professionale da quello personale. Quando ci riuscirà, forse potremo di nuovo comunicare. Di certo gli voglio bene, è mio fratello e lo sarà per tutta la vita.”
L’album prende un titolo apocalittico e disfattista per esplorare lotte personali, ostacoli collettivi e ipocrisie socio-politiche in un frullatore di fredda e spaccona trap, intimo conscious rap, contaminazioni pop e anthem da classifica. Nel disco troviamo collaborazioni dalla scena urban/pop contemporanea: Tredici Pietro, Papa V, Nerissima Serpe, Gaia, Joan Thiele, Noyz Narcos, Massimo Pericolo.
Maturità da veterano, giganti sassolini da togliere e scagliare, punchline esilaranti, profondi storytelling e pungenti riflessioni: il capo è tornato, e il palco è suo.
L’album “Caos” del 2022 era stato una sorpresa, dopo una serie di album meno brillanti, nel frattempo Fabri Fibra è diventato più conosciuto anche presso un pubblico di giovanissimi in quanto giudice di “Nuova Scena”, il talent show a tema rap di Netflix, trasposizione nostrana del format “Rhythm + Flow”.
Mentre Los Angeles brucia è un album più eterogeneo e meno “appuntito”, che come il precedente ha dei cali d’ispirazione ma registra anche delle zampate da vecchio leone della scena, ormai arrivato in prossimità dei cinquanta.
Se “Caos” iniziava con un sample di Gino Paoli, questa volta tocca a Francesco Guccini introdurre la cupa trap de “L’avvelenata (Pretesto)”.
Anticipa soprattutto lo spirito delle canzoni più aggressive e cupe, come la trap “Karma Ok” (“Tu puoi ammazzarti come il cantante dei One Direction”; “Tutti i miei drammi, e il disco lo droppo/ Chi caxxo pensavi fossi Sangiovanni?”), (questa canzone ha suscitato molte critiche per aver citato il rapper dei One Direction Liam Payne, morto in seguito a una caduta dal balcone); la muscolare “Sbang” (ft. Noyz Narcos) o la lugubre e amara “Come finirà?” (“Casa pulita così sembra tutto a posto”), ma in realtà una buona parte della scaletta è tutt’altro che avvelenata.
Ci sono almeno due tentativi di hit, sinceramente non molto convincenti: la malinconia pop-rap di “Che gusto c’è” (ft. Tredici Pietro) è una critica sociale fin troppo insipida e risaputa; “Stupidi” (ft. Nerissima Serpe & Papa V) serve soprattutto a farlo conoscere dai minorenni, ma siamo troppo vicini alla vecchia “Dietro front” con Emis Killa.
Meglio l’elettronica misto pop-rap di “Milano Baby” (ft. Joan Thiele), un acquerello relazionale dolente che ricorda “Stavo pensando a te” e la tragica denuncia sul malessere giovanile di “Tutto andrà bene” Questa canzone è bellissima ma anche molto triste perché ci ricorda di quanti ragazzi/e oggi non ci sono più per colpa di persone stupide, persone che bullizzano, distruttive e che hanno spento la luce di queste anime belle. Per me Anna e Marco. Una triste rivisitazione moderna della canzone di Lucio Dalla insomma molto piena di significati dolci e amari nella condizione di molti ragazzi che affrontano la vita.
Si trova spazio anche per una dedica al figlio che mai avrà “Figlio”, fin troppo scontata nello sviluppo.
C’è anche un pizzico del Fibra dei primi tempi: quello sgangherato e caustico di “Tutti pazzi” (“Mai andato nel dark web/ Ci trovi solo armi e puttane/ Come le canzoni rap italiane/ Al numero uno tutte le settimane”) e quello che racconta l’inferno della vita domestica in “Mio padre” (“Dentro me so di essere fottuto- Sarà che non parlo con nessuno- Passo dentro periodi di buio- Colpa della infanzia che ho avuto”) questo brano è pesante…
In “Cometa” Il sassofono mischiato al beat sta da dio! Qui nomina i Verdena gruppo bergamasco nato negli anni novanta che fa Rock alternativo, Grunge, Musica psichedelica, Stoner rock, Rock sperimentale insomma un po’ di tutto, ma chissà che fine hanno fatto!
Ricompare persino un brano degli Uomini di Mare, lo storico trio in cui Fabri Fibra militava prima della carriera solista: “Verso altri lidi” è a tutti gli effetti un classico, qua lucidato e con un nuovo beat ma ancora di un’altra categoria, nonostante risalga al 1999.
Mentre Los Angeles brucia non è la mezza rinascita che fu Caos, ma alterna varie incarnazioni di Fabri Fibra: l’hitmaker, il rapper intimista, l’ultraquarantenne che vuole (e può) essere ancora attuale e anche l’artista cult, che può rimandare ai suoi classici in modo più o meno esplicito. Quando indovina le rime, è ancora infallibile, senza dover sfoggiare virtuosismi e senza perdere di comunicabilità. Nel marasma di pubblicazioni del nostro hip-hop mainstream, è comunque un album sopra la media, ma nella sua discografia sembra soprattutto un pretesto in più per ricordarsi che Fabri Fibra c’è ancora e può ancora aggiungere qualcosa alla (nuova) scena.
In “Che gusto c’è”, in collaborazione con Tredici Pietro( nome d’arte del il figlio di Gianni Morandi, Pietro, Tredici nel suo nome d’arte non ha nulla a che fare con il suo compleanno o con un’altra data significativa, ma deriva dal suo stretto rapporto con un gruppo di 13 amici) fotografa la società attuale, l’Italia di oggi, un paese dove il rap è in classifica ma non viene capito dal mainstream e l’invidia sociale porta a sminuire i risultati personali che vengono raggiunti, tra citazioni a Flavio Briatore e al suo ristorante Crazy Pizza, e a Berlusconi.
Fabri Fibra torna con Mentre Los Angeles brucia, un disco crepuscolare che segna una svolta esistenziale dopo vent’anni di carriera, l’album abbandona le urla e la provocazione per immergersi in un buio silenzioso fatto di confessioni crude, Fabri Fibra si ritira dalla battaglia senza vincitori, bruciando tutto dietro di sé…
Dopo undici dischi solisti, centinaia di versi iconici, una carriera in cui ha già raccontato tutto, e forse anche troppo, ci si potrebbe legittimamente chiedere cosa abbia ancora da dire Fabri Fibra. Un artista che ha sempre fatto del dirsi senza filtri il suo marchio di fabbrica, che ha scolpito nella memoria del rap italiano immagini feroci di disagio adolescenziale, rapporti tossici, senso di inadeguatezza e paranoia sociale. Dall’esplosione di Mr. Simpatia al terremoto pop di Tradimento, Fibra ha costruito un immaginario radicale e inconfondibile, fatto di odio, ironia, urla e confessioni, capace di tenere insieme lo squallore del reale e la distorsione grottesca del personaggio.
Eppure, Mentre Los Angeles brucia riesce ancora a stupire, non perché contenga qualcosa di mai sentito prima, ma perché riesce a scendere dove finora Fibra si era solo affacciato: in un buio esistenziale senza grida, senza clamore, senza nemmeno più il desiderio di essere compreso. È un disco postumo da vivo, un testamento emotivo da parte di un uomo che ha passato vent’anni a combattere contro se stesso, contro l’industria, contro il pubblico, e che adesso si ritira da quella battaglia senza vincitori.
“Mio padre è morto, non l’ho mai visto sorridere”, dice in “Mio padre”, una delle tracce più dure del disco. Ma il punto non è la morte del padre biologico: è la distruzione di una figura simbolica, di un modello assente che ha generato solo rabbia e catene. Quella rabbia che negli anni Fibra ha convertito in flow, rime, iconoclastia, qui sembra essersi spenta. Non è più esplosiva, è corrosiva. Mentre Los Angeles brucia non è un album arrabbiato, è un album esausto.
È difficile ascoltare questo disco senza pensare a Mr. Simpatia, ma i due lavori non potrebbero essere più distanti nella forma. Se nel 2004 la violenza era viscerale, comica, disturbante, qui è gelida, trattenuta, quasi silenziosa. Non urla mai, ma scava. Non accusa, ma lascia che il vuoto risponda da sé. La maturità di Fibra, oggi vicino ai 50 anni, non è un valore morale, ma una prospettiva narrativa: Mentre Los Angeles brucia non cerca di insegnare nulla, non cerca nemmeno di redimersi. Si limita a descrivere ciò che è rimasto quando tutto è stato bruciato.
Il brano che dà il titolo all’album è emblematico, nasce da una frase sentita al telegiornale, “Mentre Los Angeles brucia è morto David Lynch”, e contiene tutto il paradosso emotivo dell’album: la decadenza della cultura, l’indifferenza dell’informazione, l’ironia tragica di un mondo che brucia mentre ci distraiamo. È una canzone visiva, quasi cinematografica, dove il beat sembra una colonna sonora ambient per la fine del mondo. Musicalmente, il disco è coerente con la sua poetica. Niente banger da club, niente hit obbligatorie. La produzione curata principalmente da Marz & Zef è minimale, elettronica, spesso scura, si avverte la volontà di togliere, di svuotare, di lasciar spazio ai silenzi più che ai bassi.
La domanda implicita in tutto il disco è: che ne sarà del rap italiano dopo Fibra? La risposta, amara ma lucida, è che forse è già iniziato un tempo in cui Fibra è fuori da quel contesto. Non perché non sappia più rappare, il livello tecnico è ancora altissimo, ma perché non vuole più farlo per gli altri. Non vuole competere, non vuole convincere, non vuole educare. Ha smesso di credere nel meccanismo.
Fibra si guarda intorno e vede un’industria che ha fagocitato tutto ciò che lui ha cercato di distruggere. Vede “figli” che fanno musica senza sapere da dove vengono. Vede un pubblico sempre più superficiale, algoritmico, irrequieto. E allora si ritira, ma non in silenzio: lo fa bruciando tutto dietro di sé, lasciando solo fumo e domande. Mentre Los Angeles brucia non è un disco che piacerà a tutti. Non è fatto per piacere. È un’opera cupa, spietata, a tratti desolante, ma profondamente sincera. È Fabri Fibra senza maschera, senza bisogno di shock, senza neanche più il desiderio di essere ascoltato.
È un album crepuscolare, di quelli che si scrivono alla fine di qualcosa. Ma in questa fine, paradossalmente, c’è la sua forma più pura. Nessun personaggio, nessuna provocazione, nessuna scorciatoia. Solo un uomo che guarda il mondo bruciare e decide di raccontarlo senza filtro. Perché in fondo, dopo tutto, a chi resta in piedi tra le macerie, non resta che il compito di testimoniare.
In “Figlio”, scrive al figlio che non avrà mai, una delle immagini più toccanti e rivelatrici dell’intero disco. Se nel passato l’artista sembrava incapace di accogliere, qui ammette esplicitamente di non poter trasmettere nulla, se non il peso stesso della sua condizione. “Tieniti lontano dall’alcool – ti renderà più lento e stupido come me in questo momento”: non c’è metafora, non c’è filtro. Solo consapevolezza nuda.
Un dettaglio interessante è l’uso dei campionamenti, scelti con cura e spesso nascosti sotto strati di produzione: “Mio padre”, ad esempio, si costruisce su un loop malinconico tratto da Piano Joint “This Kind of Love” di Robert Glasper, mentre “Figlio” si apre con un frammento emotivo dal film The Road del 2009, che amplifica il senso di abbandono e desolazione.
C’è poi l’impatto imprevisto ma potentissimo de “L’avvelenata di Francesco Guccini”, che Fibra riprende e reinventa in “Avvelenata” come una dichiarazione di poetica e disillusione, perfettamente coerente con lo spirito dell’album: il disprezzo verso il sistema, la solitudine di chi scrive fuori dal coro, il rifiuto della messinscena culturale. In “Vivo” riprende invece il brano omonimo di Andrea Laszlo de Simone uno degli artisti più interessanti della nuova scena italiana attuale.
Alcune strumentali sembrano costruite per sostenere, più che potenziare, la voce di Fibra: una voce stanca, rauca, che non cerca più di dominare il beat ma di sopravvivergli.
Anche i featuring rispecchiano questo dualismo tra passato e presente. Tredici Pietro in “Che gusto c’è” aggiunge uno sguardo generazionale fresco ma rispettoso; Massimo Pericolo e Gaia in Salsa piccante portano in dote la loro ambivalenza tra pop e disagio. Noyz Narcos in “Sbang” è l’unico vero ritorno alle origini, mentre Joan Thiele regala un’atmosfera sospesa e criticare l’uso di cocaina è un buon messaggio in questo caso a “Milano Baby”, uno dei momenti più evocativi.
A chiudere il disco la nuova versione di “Verso altri lidi” chiude l’album con un carico di nostalgia e riflessione che si fa quasi fisico. Riprendendo il titolo e il concept del brano storico del 2002, Fabri Fibra mette in scena un dialogo serrato tra il suo passato e il presente. La traccia è una sorta di ponte emotivo e temporale che lega il giovane rapper che sognava di fuggire e reinventarsi a un uomo quasi cinquantenne che, pur consapevole delle ferite e delle rinunce, continua a cercare un senso e una via d’uscita.
In più di vent’anni di carriera FABRI FIBRA ha contribuito prima a creare e poi a consolidare la scena rap facendo diventare questo genere musicale il più importante del panorama musicale italiano degli ultimi anni.
Dal primo album “Turbe Giovanili” del 2002, passando per il classico “Mr. Simpatia“, nonché il rivoluzionario disco d’esordio in major “Tradimento”, fino a “Caos” ,certificato doppio platino, FABRI FIBRA ha dimostrato in oltre 20 anni di carriera, di cui ha curato da direttore artistico ogni aspetto, come tecnica e contenuti possano viaggiare di pari passo facendo diventare il rap il nuovo cantautorato, un genere in grado di conquistare tutte le classifiche e allo stesso tempo di farsi portavoce di una realtà sociale fortemente italiana, complessa e spesso incompresa.
Il nuovo album farà capolino anche nel FESTIVAL TOUR 2025, il tour che vedrà FABRI FIBRA tornare sul palco a più di due anni di distanza dall’ultimo live e fare tappa nei principali Festival estivi italiani. Tra gli appuntamenti più attesi quello del 7 luglio al Circo Massimo di ROMA e la doppia data milanese all’Unipol forum il 30 settembre (già sold out) e il 1 ottobre.
Da parte mia è tutto.
Alla Prossima da SonoSoloParole.
Scritto da: SonoSoloParole
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liga il 28 Giugno 2025
Ciao, grande SSP! A mio sentimento, grande album, ben scritto, barre intense e anche un grande suono!