Radio Febbre
Intervista Steve - 25.06.2025
Ogni anno è naturalmente punteggiato di musicisti che tornano a pubblicare album dopo un periodo più o meno lungo di pause dovute alle cause più disparate. Tra i “ritorni” del 2025 si può ora annoverare anche quello, molto gradito, di Suzanne Vega del 2 Maggio 2025 con l’uscita del suo nuovo album Flying With Angels a 40 anni dall’esordio e dopo 11 di silenzio discografico.
Credo non è necessario dire chi è Suzanne Vega, la conosciamo un po’ tutti quindi farò solo una breve parentesi sulla sua vita personale.
Suzanne Nadine Vega nasce a Santa Monica in California l’11 luglio 1959, la madre e il padre adottivo si trasferirono a New York, dove la bimba crebbe nei quartieri socialmente “difficili” di Spanish Harlem e dell’Upper West Side.
Nel marzo 1995 Suzanne sposa il produttore discografico Mitchell Froom che ha prodotto due dischi dell’artista, la coppia ha avuto una figlia, nata nel 1994, di nome Ruby manel 1998 Mitchell e Suzanne si separano a causa del tradimento di Mitchell con la cantante Vonda Shepard.
Nel febbraio 2006 Suzanne sposa l’avvocato Paul Mills, sul sito della cantante c’è scritto che i due si sono conosciuti nel 1981 e che Mills si è proposto a lei nel 1983.
Suzanne Vega pratica il Buddhismo Nichiren ed è membro dell’associazione Soka Gakkai.
È il luglio del 1985 e una locandina all’ingresso del Folk City annuncia il concerto di una giovane cantautrice esordiente di nome Suzanne Vega e secondo l’autorevole Village Voice, la ragazza ha un grande talento ed è fortemente ispirata dallo stile poetico e dalla vocalità di Joni Mitchell. Quella sera stessa, il tempio sacro del songwriting americano accoglie qualche decina di spettatori che assistono all’esibizione semplice eppure incredibilmente intensa di Suzanne Vega, il cui album d’esordio, ben accolto dalla critica specializzata, è appena stato pubblicato.
Una rielaborazione acuta e personale della figura della folksinger confessionale del Greenwich Village nel pieno degli anni 80, quando non era affatto di moda esserlo.
Per la giovane artista nativa di Santa Monica quell’esibizione segna l’avvio di una lunga carriera che tocca la vetta della notorietà già nel 1987 con “Solitude Standing” e il “singolone” “Luka”, a cui fanno seguito lavori sempre di buon livello ma meno fortunati commercialmente.
Ora, dopo un’assenza di 11 anni dagli studi discografici, Suzanne Vega torna a far sentire la sua voce avvolgente e delicata con Flying With Angels, prodotto da Gerry Leonard, eccellente chitarrista noto anche per la sua collaborazione con David Bowie. Come in passato, e forse più che in passato, la sinuosa vocalità di Suzanne è una sorta di arma a doppio taglio: è capace di graffiare, denunciare e stigmatizzare gli aspetti più inaccettabili della (triste) realtà dei nostri tempi.
Quarant’anni fa Suzanne Nadine Vega debuttava con l’omonimo prodigio a 33 giri che le aprì la strada di una luminosa carriera, a suon di timide ballate in punta di chitarra e di voce. Gemme cesellate col minimo degli orpelli come “Marlene On The Wall”, “Small Blue Thing”, “The Queen And The Soldier” ridisegnavano una nuova estetica cantautorale al femminile: raffinata, intimista e irresistibilmente contagiosa.
A distanza di quattro decenni, e a nove anni dal precedente “Lover, Beloved: Songs From An Evening With Carson McCullers” del 2016, Suzanne Vega torna con la sua chitarra tintinnante e la sua voce gentile, a raccontarci spaccati di vita vissuta e storie di una quotidianità sospesa tra realtà e immaginazione.
Le 10 tracce di Flying With Angels si muovono tra caos urbano, tensioni politiche e visioni oniriche, indagando su temi come la lotta per la sopravvivenza, la libertà di espressione e la ricerca di spiritualità.
Flying With Angels si apre con “Speakers’ Corner”, il brano musicalmente più accessibile ed orecchiabile che nasconde l’amaro invito ad utilizzare la nostra libertà di parola prima che questa ci possa venire privata, l’attacco è un bel fendente folk-rock che, tra chitarre jangle e versi affilati, ricorre alla metafora dello “Speakers’ Corner”, delinea uno scenario dominato dalla progressiva perdita di un diritto irrinunciabile come la libertà di parola, l’angolo riservato agli oratori occasionali, per ammonire sui rischi della disinformazione e delle limitazioni alla libertà di parola, quanto mai attuali nell’era dei social network e nell’America di Donald Trump: “I guess we better use it now – Before we find it gone”.
Il jangle rock accattivante e la slide di “Speakers’ Corner”, accompagnano quindi una riflessione sul mondo moderno della comunicazione, intrappolato fra il sacrosanto diritto alla libertà d’espressione messo in pericolo dai governi autoritari e la copertura dell’anonimato che i social media garantiscono anche a chi li impiega per diffamare e lanciare attacchi verbali violenti e ingiustificati.
In “Witch” è elettrica, vagamente sinistra, quasi una miniatura narrativa su infedeltà e presagi si materializzano a un certo punto dei power chords alla Who e il sound teso e tambureggiante non meno angosciosa e preoccupante serve a evocare e ad esorcizzare un dramma familiare vissuto da Suzanne e da suo marito, avvocato e poeta colpito da 2 infarti e che ancora oggi lotta per riconquistare il pieno uso della parola.
“We’re living in a state of a permanent emergency”, e in questa la musica corrisponde al testo comunicando una certa quantità di ansia.Un senso di urgenza politica e una verve rockeggiante sospesa tra chitarre acustiche e impennate elettriche, si addentra nei sentieri impervi della denuncia: “We’re living in a state of permanent emergency”, storia di una moderna maledizione, simbolo delle ingiustizie gratuite che affliggono la società, scandita da chitarre ipnotiche che mantengono alta la tensione dopo la fatata intro “What witch hit this switch- Striking him down not only once but twice? Life divides into two sides- Before and after with a terrible price”.
Il rock and roll sporco e punkeggiante di “Rats”, esplicitamente ispirato ai concittadini Ramones come ai Fontaines DC, irlandesi come Leonard, dipinge un quadro realisticamente apocalittico della Grande Mela diventata durante la pandemia terra di conquista d’un esercito di roditori affamati, bellicosi e portatori di malattie.
“Rats” svela un’inusitata vocazione punk, con chitarre distorte e un organo garage rock ad assecondare una critica feroce alla legge del più forte: un tentativo apprezzabile, anche se non proprio nelle corde di Suzanne.
In “Last Train From Mariupol”, il tono si fa più intimo e riflessivo, una ballata acustica di rara delicatezza che affronta il tema della guerra con compassione asciutta, senza retorica, il succinto lamento in forma di valzer e di dolente filastrocca appoggiato su una semplice frase ripetuta di chitarra acustica e il cui pathos drammatico è amplificato da un arrangiamento in crescendo, scritto di getto dopo la visione dei notiziari serali che raccontano gli orrori della guerra in Europa Orientale. Bastano 4 strofe a un’abile storyteller come lei, per descrivere una tragedia immane immaginando una fuga di profughi a bordo di un ultimo treno su cui sale metaforicamente anche Dio, “spaventato da tutto ciò che stava vedendo”, ai cori c’è Ruby, la figlia avuta dal precedente matrimonio dell’artista con il produttore Mitchell Froom. In “The Last Train from Mariupol”, Vega torna a essere cronista degli emarginati, degli sradicati: non con la furia della denuncia, ma con la lentezza rispettosa dell’ascolto, il brano affronta con delicatezza il tema della guerra in Ucraina, tra una chitarra in stile bandura e le voci eteree racconta la guerra dal punto di vista di chi è costretto a fuggire.
Non mancano ovviamente i suoi tipici soliloqui acustici in punta di chitarra, come la title track “Flying with Angels”, si rivela subito uno degli apici del disco. È un’elegia eterea di una donna diventa protagonista, custode e interprete delle ambiguità del poeta.
La delicata storia d’amore mancata della ballad “Galway”, con echi delle tradizioni folk irlandesi grazie anche alla co-scrittura di Leonard e la più sostenuta “Chambermaid”, semi-cover che rivisita in chiave femminista la sempiterne e interessante la reinterpretazione “I Want You” del vate Bob Dylan, dando voce alla cameriera citata nel brano originale con l’aggiunta di parole e pensieri scritti da Suzanne che focalizzano su una nuova prospettiva Il brano, infatti, è un esplicito, personalissimo adattamento in chiave femminile di “I Want You”.
In piena comfort zone anche l’elegante “Alley” si muove su registri impressionisti, evocando Chagall e i suoi voli d’amore sopra le città che si sviluppa su un intreccio di chitarre in tonalità minore, sostenuto da un ritmo di batteria incalzante, lasciando il proscenio alla Suzanne più misurata e intimista.
Una signora del folk rock come la Vega sorprende con il brano “Love Thief”, una setosa e sinuosa melodia che ci trasporta nell’universo con una linea di basso avvolgente e cori R&B anni 70 che assecondando la voce pacata di Suzanne, contrappuntata da quella sinuosa di Catherine Russell per uno dei vertici del disco.
In “Chambermaid”, sulle inconfondibili note di “I want you”, Suzanne si trasforma nella cameriera a cui si rivolge Bob Dylan nel suo classico degli anni Sessanta. Scandito da 1 drumming secco, da 1 piano elettrico e da 1 canto quasi rappato, il rock blues di Lucinda è invece un affettuoso e chiaroscurale ritratto della collega Lucinda Williams, la forte e fragile “Dusty Springfield del Sud” in pantaloni di pelle e coda di strass e dalle tante facce; un angelo che sa ruggire e trasformarsi in una belva. “Lucinda” è un sentito omaggio a Lucinda Williams, country rocker tutta di un pezzo, una che non abbassa mai la testa di fronte alle sfide che la vita le pone innanzi, qui la Vega mescola tratteggi acustici, spoken word e loop elettronici per celebrare una delle icone del cantautorato al femminile a stelle e strisce “A Dusty Springfield of the south – Leathery pants and a pale pink mouth… Strong and proud- A little bit frail”.
Flying With Angels non è l’album che rilancerà la, già più che appagante, carriera di Suzanne Vega, ma in soli 38 minuti ci regala un nuovo gradevole elisir del suo songwriting aggraziato e arguto, ricordandoci che in tempi di aspiranti ragazze con la chitarra c’è chi il mestiere sa ancora insegnarlo a tutte, con immutata classe e neanche un briciolo di supponenza.
Flying With the Angels attraversa anche sentieri sonori raramente sperimentati in passato “Rats”, ad esempio, ricorda l’inquieto dinamismo della New York alternativa dei tardi anni Settanta, quella che gravitava a tarda ora intorno ai locali della Bowery, CBGB’s fra tutti, in questo album Suzanne Vega si muove con la sensibilità che le è propria tra le pieghe dell’animo umano e in quest’ultimo, apprezzabilissimo album osserva con uno sguardo acuto e fortemente critico la deriva nella quale in mondo che ci circonda sta precipitando. Flying With the Angels è un lavoro bello e coraggioso e Suzanne Vega si conferma un’artista di grande valore.
E’ il soul venato di funk di “Love Thief” a sorprendere davvero, momento perfetto per godere ancora una volta delle tonalità più calde e soft di una voce senza tempo, è una delle tracce più sorprendenti ibrido tra R&B dilatato e funk minimale, sostenuto da cori soul che sembrano usciti da un disco Motown trasfigurato, un esperimento stilistico che, pur nella sua eccentricità, conserva coerenza grazie all’economia vocale di Vega, ancora perfettamente riconoscibile, tersa e priva di affettazione.
Sangue irlandese scorre anche nelle vene di Suzanne, che alla città costiera di “Galway” dedica l’ultima canzone in scaletta, una riflessione sulle sliding doors che la vita ci pone di fronte e che ha come spunto un lungo e infruttuoso corteggiamento, è una ballata Celtic folk che Suzanne avrebbe forse potuto cantare anche all’epoca dei suoi esordi nel Greenwich Village di metà anni 80; non fosse per la voce oggi più roca, sensuale e ricca di sfumature ma sempre incline a toni sommessi. Sembra quasi un ritorno al punto di partenza e alla semplicità musicale di quei tempi, ma è solo apparenza ed è lei stessa a spiegarlo: a Galway non c’è mai stata, e proprio per questo nel contesto del brano “la città rappresenta un futuro che ancora deve essere scoperto”. “Il compito di un narratore”, aggiunge, “è di portarti in un luogo dove non sei mai stato, non solo quello di mostrarti ciò che già conosci”.
“Galway” è un brano malinconico folk, che lascia intravedere ciò che sarebbe potuto essere, e non è stato e fatalista una ballata a ricordare un amore che poteva essere ma che il caso oppure il destino hanno fatto sì che non si realizzasse compiutamente.Il folk rock classico e solare di “Galway” arricchisce ulteriormente il mondo sonoro di una cantautrice che rivendica ancora una volta l’importanza di prendersi del tempo, per creare in piena libertà.
Flying With Angels ripaga ampiamente la lunga attesa con il suo cuore sincero, riflessivo, tenace, femminile e femminista ed è l’ennesima rinascita di Suzanne Vega.
A chi segue la folksinger americana dal debutto omonimo, uscito nel 1985, disco di platino in UK, Flying With Angels incarna la connessione tra gli iconici successi “Marlene On The Wall”, “The Queen And The Soldier”, “Small Blue Thing”, e una maturità artistica in sintonia con l’epoca attuale.
Flying with Angels non è un disco che punta a far la rivoluzione, ma prende ferme posizioni e conferma le virtù di Suzanne Vega, una porta d’accesso per chi ancora non avesse conosciuto il suo talento.
Suzanne Vega in questo album è accompagnata da: Gerry Leonard alla chitarra; Jeff Hill al basso; Aaron Johnston alla batteria e da Daniel Mintseris e Jamie Edwards alle tastiere.
Se “Alley” tende al cielo con la consapevolezza di avere i piedi ben piantati per terra, “Rats” invece è una canzone che pare presa di peso dalla punk new wave di fine anni Settanta, Blondie o giù di lì, e portata ai giorni nostri, inneggia al proliferare dei topi nella metropoli, lasciando a noi il compito di immaginare chi siano questi topi.
Il trittico finale del disco “Witch”, “Alley” e “Galway”, segna un ritorno alle atmosfere più criptiche e poetiche.
Insomma se nel dicembre 2019 a Wuhan, in Cina, si riscontravano i primi casi di Covid-19; nel maggio 2022 l’esercito russo occupava la città ucraina di Mariupol; nell’aprile 2023 la cantautrice Lucinda Williams pubblicava il suo memoir Don’t Tell Anybody The Secrets I Told You; nel settembre 2024 la città di New York organizzava un summit per trovare una soluzione all’emergenza sanitaria provocata dalla proliferazione incontrollata di topi nell’area metropolitana, da queste schegge sparse d’attualità, e da situazioni personali anche drammatiche, Suzanne Vega ha preso spunto per comporre le canzoni di Flying With Angels, il suo primo album di brani inediti dai tempi di Tales From The Realm Of The Queen Of Pentacles del 2014, alla faccia del boss di Spotify, Daniel Ek, che invita gli artisti ad abbandonare il concetto obsoleto di album e a sfornare pezzi nuovi con regolarità per mantenere vivo il contatto diretto con il pubblico: Suzanne appartiene a un altro mondo e a un’altra generazione, quella dei singer-songwriters che tirano fuori carta e penna solo quando sentono di avere qualcosa da dire.
Per chi vi scrive Flying with Angels non è un ritorno trionfale, ma un rientro in punta di piedi, coerente con la poetica di un’artista che ha sempre preferito la penombra al riflettore, e anche stavolta, ci invita ad ascoltare con attenzione, tra le pieghe delle canzoni, ciò che ancora resta da svelare, è un disco maturo, sfaccettato, elegante, cesellato con cura, ricco di conferme ma anche di sorprese, ci riesce benissimo.Come quelle amicizie che non vengono scalfite dallo scorrere del tempo, dopo anni Suzanne Vega è tornata a noi, ed è come ci si fosse lasciati il giorno prima. Il suo occhio attento e la sua capacità di scrittura fanno sì che le sue canzoni siano sempre un luogo in cui ci si riesce a ritrovare. Flying With Angels esprime preoccupazione per il macro di quanto accade intorno a noi, più che raccontare il micro della sfera personale. Comunque sia, Suzanne è sempre bello ascoltarti. Bentornata!
Vi invito ad ascoltare questo disco molto interessante.
Da parte mia è tutto. Alla Prossima da SonoSoloParole.
Scritto da: SonoSoloParole
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