Radio Febbre
Intervista LeUltimeParoleFamose - 04.06.2025
Stereolab un gruppo franco-britannico attivo dal 1990 il 23 Maggio 2025 è tornato con il nuovo album dal titoloInstant Holograms On Metal Film.
Lo stile Stereolab mescola in maniera originale sonorità pop ed easy listening degli anni sessanta con una ritmica ispirata al krautrock, alla musica brasiliana, alla musica elettronica, all’art rock e a numerose altre influenze.
Nel 1988 la corista francese Lætitia Sadier e Tim Gane, rispettivamente 20 e 23 anni, si incontrano ad un concerto, tenuto a Parigi, dei McCarthy, di cui Tim faceva parte. Nel 1990, dopo lo scioglimento dei McCarthy, i due formano gli Stereolab, a cui si uniranno Andy Ramsay alla batteria, Gina Morris come cantante, poi sostituita dall’australiana Mary Hansen e Duncan Brown al basso. Il ruolo del tastierista sarà invece ricoperto negli anni da Mick Conroy, Sean O’Hagan, Katharine Gifford e infine Morgan Lhote.
Gli Stereolab sono fautori di un indie pop eclettico e retro futurista che si ispira alla bossanova, al lounge-pop, alla chanson francese, all’art rock dei Velvet Undergrounde al krautrock: corrente musicale da cui emulano i ritmi. La loro formula si concentra sul cantato ipnotico di Laetitia Sadler, sulle melodie riprese dalla musica leggera degli anni sessanta e sul consistente uso di strumenti elettronici quali il moog e i campionatori. Sono anche considerati da molti una formazione post rock, mentre AllMusic li inserisce fra i gruppi del rock sperimentale, dell’ambient pop e di altre espressioni di musica indipendente e alternativa.
Nel dicembre 2002 gli Stereolab subiscono un durissimo colpo per l’improvvisa morte della cantante e chitarrista australiana Mary Hansen, deceduta a Londra in un incidente stradale e a causa dello shock, il gruppo trascorre alcuni mesi in silenzio ma poi tuttavia decide di continuare l’attività
Instant Holograms On Metal Film è il loro primo album in quindici anni con tredici canzoni scritte da Laetitia Sadier e Tim Gane; eseguite da Laetitia, Tim, Andy Ramsay, Joe Watson e Xavi Muñoz, che compongono l’attuale formazione del gruppo. Nell’album sono presenti i contributi di Cooper Crain e Rob Frye (Bitchin Bajas), Ben LaMar Gay (International Anthem), Ric Elsworth, Holger Zapf (Cavern Of Anti-Matter), Marie Merlet e Molly Hansen Read.
Ricostituitisi sei anni fa, dopo una pausa decennale, per una serie di concerti coincidenti con il ciclo di ristampe discografiche targate Warp, solo in un secondo momento gli Stereolab hanno immaginato di produrre nuova musica: “L’idea di un altro LP si è concretizzata fra la primavera e l’estate del 2023. La maggior parte dell’album è stata scritta allora e abbiamo iniziato a registrare nel gennaio 2024”, ha raccontato a “Uncut” il londinese Tim Gane, da sempre coppia motrice del gruppo insieme alla parigina Lætitia Sadier.
La storia degli Stereolab è stata contrassegnata da un continuo fermento quasi situazionista, percepibile in ogni loro gesto o in qualsiasi scelta artistica e creativa. La sensazione che nulla venga lasciato al caso è rafforzata dall’ostinazione con la quale la band anglo-francese ha prodotto e demolito nuovi linguaggi sonori.
Gli Stereolab hanno cambiato in maniera definitiva la percezione comune di quell’universo sonoro fatto di groove e beat, fino a renderlo colto, cerebrale, perfino ostico, contrariamente alla propria natura di ritmico oscillare e input danzerecci.
Gli Stereolab hanno cambiato in maniera definitiva la percezione comune di quell’universo sonoro fatto di groove e beat, fino a renderlo colto, cerebrale, perfino ostico, contrariamente alla propria natura di ritmico oscillare e input danzerecci.
Dopo un ultimo album targato 2008, “Chemical Chords”, un successivo periodo di stasi, appena turbato da una raccolta di outtake e sparute apparizioni live, e un ritorno in scena nel 2019 per una serie di tour consacrati alle versioni rimasterizzate e ampliate dei loro album per la Warp, il nome degli Stereolab sembrava destinato a essere relegato al passato, invece il 23 Maggio 2025 è arrivato il un nuovo album di inediti.
La musica degli Stereolab è autarchica, avventurosa e originale quanto basta per resistere alle immancabili accuse di immutabilità, e non stupisce che il nuovo album sia stato accolto con pareri discordi dalla critica ma chi ha avuto modo di ascoltar questo album ha potuto verificare che, nonostante il lungo lasso di tempo trascorso, la band anglo-francese non ha perso né in smalto né in modernità.
Il brio yé-yé di “Aerial Troubles” apre le ostilità concentrando in un sol attimo tutti gli elementi formanti dell’album – le quattro voci, il tipico tempo downbeat del gruppo, la malleabilità dei ritmi e dei sintetizzatori ribadendo le mai sopite velleità sociali e politiche, non a caso gli Stereolab non hanno mai escluso dalle loro scalette live il potente manifesto ideologico socialista di “Refractions In The Plastic Pulse”.
Le sfaccettature di “Instant Holograms On Metal Film” sono alquanto familiari, anche il titolo dell’album e delle tredici tracce inducono a credere che il gruppo prediliga restare in una comfort zone, ma è una sensazione che viene disfatta dalla qualità della scrittura e degli arrangiamenti: il suono della cornetta di Ben LaMar Gay che amplia i già estesi confini stilistici di “Immortal Hands”, l’oscillante e contagioso swing ritmico e melodico di “Melodie Is A Wound” e la notevole incursione della psichedelia in chiave lounge di “Transmuted Matter” sono solo alcune delle tante meraviglie che gli Stereolab mettono in fila in questa inquieta e suggestiva colonna sonora immaginaria.
Chi avesse nostalgia delle gustose ibridazioni di kraut-rock, “Bacharach style”e “Tropicalia” può orientare l’orecchio alla vezzosa “If You Remember I Forgot How To Dream Pt. 1”, i più compassati potranno bearsi delle spurie prog di “Vermona F Transistor”, i detrattori delle sembianze più pop troveranno pane per i loro denti nella furia strettamente strumentale di “Electrified Teenybop!” e nello sfacciato pastiche futurista di “Esemplastic Creeping Eruption”, trovando ristoro armonico nella più mesta “Flashes From Everywhere”.
Spetta comunque a “Le Coeur Et La Force” la palma di brano più atipico, una discesa negli inferi poetici di Robert Wyatt con un substrato elettronico alla Tomita.
Sul versante dei testi la ferocia socio-politica trova la sua maggiore espressione nella ironica e quasi comica “Color Television”, un duro attacco ai media e al loro ruolo di imbonitori delle masse ad uso e consumo delle classi politiche ed economiche, l’incalzare ritmico, quasi un moderno da-da-um-pa kessleriano, e la banale coda strumentale sono la perfetta sintesi dell’impassibilità dell’uomo contemporaneo.
Il risultato è Instant Holograms on Metal Film, all’ascolto, non vi sono sorprese: lo stile della band rimane inconfondibile, posizionato in un crocevia del postmoderno nel quale convergono influenze disparate generando “avant-pop” dal gusto retrofuturista, dovuto all’impiego di strumentazione vintage, tipo l’organo di fabbricazione tedesca citato nel titolo di “Vermona F Transistor”, che a un certo punto ammonisce: “Stiamo sull’attenti di fronte a narrazioni preordinate per promuovere la discordia”.
L’accento engagé ne caratterizza l’identità fin dagli esordi, ricordo l’appello a “la resistance!” pronunciato al culmine di “French Disco”, nel lontano 1993, mai era stato enfatizzato però in maniera così esplicita “Colour Television” denuncia ad esempio “la promessa di una classe media per tutti”, un segno dei tempi, evidentemente, dissimulata dalla disinvoltura pop di “Melodie Is a Wound”, ecco un’istantanea dei giorni nostri, “Il diritto pubblico di conoscere la verità, imbavagliato dai potenti, coltivano l’ignoranza e l’odio, l’obiettivo è manipolare” da cui discende il retorico interrogativo finale: “La veridicità è diventata desueta?”.
Al solito, il vocabolario impiegato è raffinatissimo: basti menzionare la figura dell’eggregora, l’angelo guardiano nella tradizione esoterica, evocata nel madrigale francofono “Le Coeur et la Force”, e il neologismo attribuito a Coleridge incluso nell’intestazione di “Esemplastic Creeping Eruption”, tortuoso paesaggio sonoro “dove la luce e il buio si toccano”.
L’alternanza fra inglese e francese si nota in particolare durante il vivace numero yé-yé “If You Remember I Forgot How to Dream Pt. 1”: “Appartengo alla Terra, dico no alla guerra”, canta in madrelingua Sadier nell’apertura che sa di nouvelle vague, scivolando poi nell’idioma adottivo per descrivere l’effetto di un entanglement (“Incontro con un estraneo, una parte perduta di me stessa, perché io sono te e tu sei me”). Emblematico della pensosa leggerezza degli Stereolab è “Aerial Troubles”, che a dispetto di un quadro a tinte fosche, parla di “modernità morente” e “cure palliative” scorre con andatura spigliata.
Vie d’uscita dai mali correnti del mondo? Magari “la libertà che solo l’amore conferisce”, nominata nella cornice da folk “progressivo” di “Immortal Hands”, impreziosito da tocchi di marimba e contrappuntato dai fiati degli amici di Chicago Bar LaMar Gay e Rob Frye, quest’ultimo implicato nei Bitchin Bajas come Cooper Crain, coproduttore di un lavoro che restituisce gli Stereolab all’attualità.
Stereolab si esibiranno in Italia l’11 luglio al Siren Festival di Cagliari.
L’apertura di “Aerial Troubles” non potrebbe essere più emblematica: voci maschili e femminili si incrociano come in un esperimento vocale di scienza sociale; un groove ipnotico e rallentato mette subito le cose in chiaro: gli Stereolab non sono qui per aggiornare il loro suono, ma per riaffermarne l’autarchia. Se i titoli delle tracce “Vermona F Transistor”, “Mystical Plosives”, “Esemplastic Creeping Eruption” sembrano quasi auto-parodie, le canzoni che li accompagnano smentiscono qualunque timore di autoreferenzialità.
L’equilibrio tra pianificazione minuziosa e improvvisazione telepatica resta intatto, come nel passato, a metà di “Immortal Hands” un beat sintetico fa deragliare la struttura in una nuova direzione, mentre la cornetta jazz di Ben LaMar Gay dipinge un affresco tanto barocco quanto pulsante.
In “Melodie Is a Wound”, un’elegia pop che si chiude con un’esplosione fuzz degna dei Beach Boys sotto MDMA, Sadier sembra cercare il fantasma di Mary Hansen in ogni nota, e il vuoto lasciato dalla compagna di armonie scomparsa nel 2002 aleggia come un’assenza carismatica.
Certo, la chimica vocale tra Sadier e Hansen non è replicabile, ma “Instant Holograms” non tenta un’imitazione: ci prova in altre direzioni, le voci maschili di Joe Watson e Xavi Muñoz, insieme a quella femminile di Marie Merlet (ex Monade), formano un nuovo caleidoscopio corale che ha meno magia e più geometria.
Se “Aerial Troubles” è un puzzle vocale interessante ma non trascendentale, “Le Coeur et la Force” stupisce per l’atipicità: una ballata elettronica alla Tomita, con lo spettro poetico di Robert Wyatt sullo sfondo.
La produzione di Cooper Crain (Bitchin Bajas) è essenziale per comprendere il carattere del disco, l’eredità della scena post-rock di Chicago e lo spettro benefico di John McEntire (che già fece miracoli in Dots and Loops) si avvertono nei marimbe, nelle linee sintetiche dal gusto retrò e nel respiro “analogico” che permea l’intero album, è un suono pulito, arioso, vintage ma non passatista.
Il disco gioca su più registri stilistici: chi cerca il krautrock filtrato con l’ironia potrà gioire della strumentale “Electrified Teenybop!”, mentre chi ama le deviazioni lounge-psichedeliche troverà in “Transmuted Matter” un piccolo gioiello di inquietudine suadente.
“Colour Television” è forse la vetta ideologica dell’album: un attacco beffardo al potere mediatico, in forma di danza dadaista e malinconica, ma è nel dittico “If You Remember I Forgot How to Dream Pt. 1 & 2” che gli Stereolab tornano a essere messaggeri pop dell’emancipazione: la prima parte è un inno pop sofisticato alla resistenza mentale; la seconda, tra citazioni di Deleuze e Guattari, e derive cosmiche, suona come una passeggiata nei corridoi del pensiero utopico.
I testi mantengono alta la bandiera del pensiero critico e umanista, Sadier è disillusa ma mai cinica: canta “Greed is an unfillable hole” con una tristezza composta, mentre altrove intona “Je dis ‘non’ à la guerre” come un mantra dolce e intransigente, anche nei momenti più teorici, la sua voce non perde mai calore emotivo, continuando a incarnare quel singolare mix di razionalità politica e romanticismo cosmico che è sempre stato il cuore pulsante degli Stereolab.
Gli Stereolab sono un’entità talmente unica – e a sé stante – che ritrovarli dopo tanto tempo è come non averli mai lasciati, da più di trent’anni la formula del collettivo fondato sull’inossidabile sodalizio artistico, un tempo anche di coppia, tra Tim Gane e Laetitia Sadier resta così definita, e a suo modo inarrivabile, che sai già esattamente cosa aspettarti, anche se sono passati quindici anni dall’ultima uscita discografica di Not Music.
Sai cosa aspettarti, dicevamo, ma il bello di un disco firmato “The Groop” , con questo Instant Holograms On Metal Film siamo a undici, senza contare le numerose raccolte, da sempre, è che niente è mai davvero scontato, dacché la formula impercettibilmente muta, cambia, si evolve. Dagli esordi nei primi ’90, segnati dal minimalismo ipnotico del kraut dei Neu! e dal melodismo, essenziale e rumoristico, di marca Velvet Underground, la suddetta formula si è progressivamente espansa inglobando una quantità di elementi, lounge, exotic, tropicalia, jazz, soundtrack, sixties, french touch, Canterbury, con le uniche costanti dell’impianto sonoro avant-psych-pop del chitarrista inglese e dei testi filosofici e il canto alla Nico della chanteuse francese, sempre uguali, sempre diversi.
I sette minuti di “Melodie Is a Wound”, già dal titolo, un nuovo manifesto artistico, basterebbero a esemplificare, divisi come sono, salomonicamente, tra una sezione pop e una coda, di fatto, una reprise di Ping Pong… e non ci sembra casuale, da cui si snoda un trip immaginifico tra reiterazioni melodiche e trasformazioni continue. Rincara la dose, ripetendo il medesimo canovaccio, la successiva “Immortal Hands”, ballad malinconica in minore che dipana un intreccio strumentale tra motivi di synth e fiati che sanno di Brasile, così come “Colour Television” e le sue trasformazioni melodiche nel finale e la spettacolare musica cosmica di “Vermona F Transistor”.
Un caleidoscopio in cui, inizialmente, è facile disorientarsi ma una volta trovata la chiave di volta non resta che sedersi comodi e godere del viaggio, come nei migliori capitoli della discografia pregressa, a me viene in mente Emperor Tomato Ketchup, ma dipende dall’ascoltatore; come d’abitudine, non si cita mai apertamente ma si allude, che si tratti degli incastri à la Can di Transmuted Matter o della giocosità simil Malkmus di Esemplastic Creeping Eruption, con un finale non lontano dagli esperimenti freak di 13 dei Blur, o ancora l’elettronica vintage in odore di Silver Apples della conclusiva “If You Remember I Forgot How To Dream Pt.2”.
Ritroviamo, insomma, tutto quello che si può desiderare da un album degli Stereolab, e dagli Stereolab stessi: quel futurismo d’annata che funzionava così bene nel XX secolo e sembra ancora perfetto per questo martoriato XXI, anche e in virtù del suo sotteso (ma neanche troppo) messaggio politico, affidato ai versi tradizionalmente ermetici della Sadier ma anche, certo, alle musiche e se allora si trattava di guardarsi indietro per giocare a costruire futuri possibili e realtà alternative, oggi questo rifugiarsi in estetiche perdute e di culto assume nuove e forse più significative valenze proprio alla luce del futuro e della realtà che ci siamo ritrovati, la ricerca di un’autenticità e di una dimensione essenzialmente umana, in un’era in cui entrambe sono drammaticamente a rischio. Valga, su tutto, l’incipit di “If You Remember I Forgot How To Dream Pt.1: “J’appartiens à la terre/ je dis non à la guerre” (“appartengo alla terra, dico no alla guerra”). Bentornati.
“Instant Holograms on Metal Film” è un disco di tutto rispetto. Il tempo, per Sadier e Gane, sembra non essere passato. È questo il “problema”? Anche no. O forse…A confondere le acque, o renderle ancor più tranquille, a ben vedere, sono brani come il singolo “Aerial Troubles”, perfetto com’è, le chitarre allineate, il motorik ancora “su di giri”, l’odore di french touch, quella morbidezza che, liricamente, diventa un dito puntato in faccia, quel ritornello “Greed is an unfillable hole (insatiable) / Avid the fear of death / Thirtsty is the fear of death (there is no way) / We can’t eat our way (out of it) / We can’t drink our way out of it no more”, cantato da Sadier, Xavi Munoz e Marie Merlet, mentre tutto attorno è solluchero. Distopic is our way out of it, dico io. Però…
Ora la parola passa all’ascoltatore quel che è certo è che i fan non resteranno delusi, i critici avranno pane per i loro denti per almeno una ventina di giorni, ma alla fine quello che conta è che gli Stereolab sono tornati con un disco musicalmente potente, dove non v’è traccia di routine, ascoltate “Instant Holograms On Metal Film”, lasciatevi trastullare e keep calm.
Instant Holograms on Metal Film, dai primi arpeggi di synth fino all’ultimo dissolversi cosmico, vede il gruppo britannico riaffermare il proprio suono, che definiamo per semplicità “retro-futurista”, rendendolo più incisivo, sia sul piano emotivo che su quello politico, per niente nostalgico. Ricco di texture analogiche, groove motorik e armonie intrecciate, il disco non è un semplice ritorno alle origini, ma una rinascita consapevole, dal carattere agguerrito e poetico al tempo stesso.
L’album gioca su continui contrasti tra l’organico e il sintetico: clavicembali, pad quasi tridimensionali, austerità kraut, xilofoni, innesti di sezioni di fiati, improvvisazioni jazz, elettronica glitch e cambi di rotta improvvisi mantengono l’ascolto in costante movimento.
Più che reinventarsi, gli Stereolab perfezionano la loro visione e il loro manifesto, come sempre ben sintetizzati in strofe che racchiudono spesso analisi sociali e politiche.
Resistenza, immaginazione, bellezza come autentica sostanza della vita, Instant Holograms on Metal Film non è un esercizio intriso di malinconia, ma un’opera viva, in equilibrio tra distacco sereno e slancio visionario, che afferma la forza delle differenze e delle infinite possibilità.
La tracklist dell’album comprende brani progressive pop, la già citata “Aerial Troubles” e “Melodie Is A Wound” con vena più psichedelica “Immortal Hands” e “Transmuted Matter” indie electronic, “Mystical Plosives”, “Electryfied teenybop” e “If You Remember I Forgot How To Dream Pt. 2” in pieno stile Stereolab, “Flashes From Everywhere” e “Colour television”, dal taglio più rock n roll, “If You Remember I Forgot How To Dream Pt. 1”.
Nella musica degli Stereolab si avverte un senso profondo di estraniamento, non solo temporale, ma anche spaziale, non è un caso che siano un gruppo europeo: una formazione che ha saputo rileggere i codici del blues e del rock attraverso il filtro della library music, della psichedelia e di un’estetica modernista.
La freschezza di quella formula, al tempo stesso personale e universale, è alla base del loro successo, se consideriamo che hanno iniziato a pubblicare negli anni in cui il grunge dominava la scena, è evidente quanto fossero visionari e futuribili.
Gli Stereolab hanno trasportato il rock in un’altra dimensione: intellettuale, nerd, alternativa alla visione dominante di quel periodo, un approccio che ha saputo coniugare forma e concetto con rara coerenza, e che viene ribadito in questo album: la formula non ha bisogno di ritocchi.
Instant Holograms on Metal Film non è un capolavoro rivoluzionario, né pretende di esserlo, è un album consapevole, solido, spesso incantevole, che riesce nella non banale impresa di suonare come l’idea platonica degli Stereolab, ma forse è proprio questo il segno che la band ha ancora qualcosa da dire. In un’epoca in cui molti ritorni si limitano a celebrare i fasti di un tempo, quello degli Stereolab è un ritorno vivo, sincero, carico di senso e forma, non è nostalgia, è resistenza sonica poiché gli Stereolab, sono l’avamposto post punk degli ultimi (veri) “resistenti”.
La sigletta da telegiornale in bianco e nero che apre l’album può voler dire una cosa sola: sono di nuovo tra noi dopo quindici anni, te ne accorgi anche senza conoscerne il titolo, come al solito in bilico fra quello di un vecchio manuale di elettroacustica e di un B-movie: Instant Holograms on Metal Film è un distillato dell’estetica Stereolab, riaggiornata per quest’era neo(il)liberale.
Nelle arti, o si fa scuola, o si resta inimitabili, perlomeno di solito, agli Stereolab è riuscito di fare entrambe le cose perché essuno li ha mai saputi imitare (non ci ha mai provato) e nessuno li ha mai saputi dimenticare (non ci è mai riuscito) perché sono un’isola senza arcipelago, un entente cordiale franglais dove il pop e l’avanguardia continentali, yé-yé, Krautrock, Kraftwerk si intrecciano a lounge, Tropicalia, Free Design, Bacharach. Padrini di un passato anteriore che aveva toccato il culmine nei primi duemila con la triade Dots and Loops, Cobra and Phases Group Play Voltage in the Milky Night e Sound-Dust, l’ultimo dove le ritmiche melodie di Laetitia Sadier contrappuntavano briose quelle della compianta Mary Hansen si erano sciolti nel 2010 dopo il non irresistibile Not Music.
Nei primi Novanta, quando il rock europeo era schiacciato fra il beatlesismo degli stenterelli di Manchester e i capriccetti middle class londinesi, oltre al sound di Bristol l’unica band davvero urgente e necessaria erano loro gli Stereolab, Il loro agit-pop, caustico ma lieve, ostinato, psichedelico e citazionista e i loro gargarismi analogici retro-futuristi (chi meglio ha saputo riesumare il moog alla fine del secolo scorso?).
RIECCOLI dunque, con qualche novità: il sax avant-jazz effettato di Ben LaMar Gay e Rob Frye in “Melodie is a wound”, le voci maschili di Xavi Muñoz al basso e Joe Watson alle tastiere in “Aerial Troubles”
Gli Stereolab sono sempre stati una band intellettuale (in inglese un insulto), portando avanti una tradizione post-punk anti-thatcheriana. Baudrillard e Debord erano murati vivi nei dipartimenti di cultural studies, nessuno si preoccupava dei cicli boom and bust del capitale, nessuno denunciava il retaggio colonialista con cui oggi l’Eurovision Song Contest fa da colonna sonora allo sterminio di un popolo. Ci avevano pensato, ci pensano, la chitarra di Tim Gane e brezza vocale di Laetitia Sadier, che come in French Disko, trent’anni fa, incitava a “la Resistance!”, oggi dice “non/À la guerre”.
Difficile dire cosa siano, davvero, gli Stereolab, difficile ora come trent’anni fa, quando la band anglo-francese cominciava a frullare krautrock, elettronica, pop d’autore e collage avanguardistici dentro un’impastatrice sonora che sembrava provenire da un futuro parallelo. Dopo quindici anni di silenzio in studio, Instant Holograms on Metal Film segna il ritorno ufficiale della band con un album che non si accontenta di evocare la propria leggenda, ma che rilancia, espande e (senza urlarlo) evolve, è Stereolab senza esserne una banale replica, è un ritorno in grande stile, ma che rifugge ogni retorica.
Da parte mia è tutto.
Buon Ascolto da SonoSoloParole!
Scritto da: SonoSoloParole
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