Radio Febbre
Intervista Lenè - 28.05.2025
today23 Maggio 2025 19 238
Sono trascorsi 33 anni dalla strage di Capaci dove nell’attentato persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e la prima magistrato donna uccisa dalla mafia, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro e ancora oggi quella data segna una delle vicende criminali più drammatiche della nostra Repubblica.
Oggi voglio soffermarmi, come ho fatto anche lo scorso anno per questa ricorrenza (vi invito a rileggere, se ne avete voglia e tempo, il mio post sul Blog di Radio Febbre del 23 Maggio 2024) e esprimere alcune mie riflessioni personali sulla “macelleria di Capaci” compiuta per mano mafiosa da poteri che hanno forti radicamenti nello Stato e sono, in qualche manifestazione, parte dello Stato.
In primis chi pensava di distruggere l’opera di Rocco Chinnici, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, uccidendoli, era uno stolto, criminale, ma sciocco, per non dire altro, non li hanno eliminati, li hanno moltiplicati! La potenza del loro esempio, della loro intelligenza, della loro moralità e dell’intransigenza ha prodotto un vero e proprio cambiamento culturale perché le nuove generazioni ne hanno fatto i loro eroi, i loro punti di riferimento, il che ha avuto conseguenze enormi.
Quando eravamo piccoli, il mafioso era, sia pur in negativo, l’eroe di film, libri, reportage giornalistici avevano per protagonisti degli imprendibili criminali che sconfiggevano nemici, sfuggivano alle indagini, gestivano traffici colossali… beh, oggi, i protagonisti di libri, film, sceneggiati sono gli eroi che di quei presunti geni del male hanno mostrato la pochezza, li hanno scovati, incarcerati, ridicolizzati, anche se tanti, a prezzo della propria vita. Noi nuove generazioni sappiamo, a differenza della generazione dei nostri genitori, nonni, che quelle “ombre” potentissime sono uomini da niente, solo feroci e burattini di altri poteri, il mondo, in questo senso, è cambiato.
La profezia di Falcone, sulla mafia, si è avverata, almeno in parte: “Quello che alcuni uomini fanno, altri uomini possono disfare” e lui fra questi. Nulla è per sempre, nulla è indistruttibile, nemmeno il male, e purtroppo, ricordiamocelo, nemmeno il bene!
La necessità di quei poteri annidati pure nello Stato, nella massoneria, sospettati (qualcosina in più che sospettati…) di essere i veri esecutori, forse mandanti, degli attentati contro Falcone, Chinnici, Borsellino, li ha resi visibili. Ora lo schermo della manovalanza mafiosa che li celava alla vista e al giudizio è caduto.
Sappiamo chi sono, dove sono, cosa fanno, anche se non possiamo essere espliciti più di tanto, come disse Pier Paolo Pasolini!
Quei poteri marci, e non solo nazionali, sono stati obbligati a venire allo scoperto e ad agire in prima persona. Si pensi solo a quanti politici, parlamentari, ministri in odore di rapporti mafiosi o in pubbliche dichiarazioni di vicinanza a esponenti mafiosi, sono non solo tollerati, ma difesi, tutelati da alti rappresentanti dello Stato, dell’economia, quasi una ostentazione del diritto della mafia a essere parte della struttura statale, politica ed economica di questo Paese.
Ricordiamoci i pessimi esempi di massime cariche istituzionali, con le intercettazioni distrutte dell’allora presidente della Repubblica, gli “indicibili accordi” denunciati dal giudice D’Ambrosio, purtroppo morto tempestivamente, il rifiuto impunito del presidente d’ allora di andare a testimoniare?
I recentissimi libri dei professori Francesco Benigno con “La mala setta” e Isaia Sales con “Storia dell’Italia mafiosa”, che mostrano con dovizia di documenti come e quanto la criminalità meridionale fu fatta divenire mafia, come la conosciamo, per contribuire a unificare l’Italia e tenerla divisa, con un Sud coloniale.
Mi domando: perché solo per quattro magistrati, Chinnici, Falcone, Borsellino, Carlo Palermo, che sopravvisse, hanno avuto “l’onore” dell’attentato con un’auto imbottita di esplosivo? La mafia è una cultura, criminale, ma cultura, perché individua un suo “popolo”, con gergo, norme, rituali e liturgie proprie, e, quindi, agisce in modo simbolico: se uccide qualcuno con un sasso in bocca, vuol dire perché lo ha eliminato. Quindi, se per quei magistrati hanno usato un metodo “libanese”, cosa hanno voluto comunicare, e a chi? Perché è chiaro che i referenti veri di quell’azione criminale erano quelli a cui era dato intendere il significato del modo. Carlo Palermo scrisse, poi, un libro in cui si parlava di tradizioni di potere di gruppi esoterici e che ognuno poteva interpretare a modo suo, dal romanzo all’allusione (lo cito solo per riferirne, non perché debba necessariamente avere un nesso con quel che accadde), ma questa mia domanda e credo domanda che vi fate in tanti aspetta una risposta: perché a loro quel modo? Cosa avevano visto, capito?
Quel giorno del 23 Maggio 1992 insieme al giudice Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e agli uomini della scorta, fu colpita l’Italia onesta, quella che crede, nella giustizia, nella dignità dello Stato.
Falcone non fu soltanto un magistrato, fu un anticorpo, uno di quelli che, consapevole del prezzo da pagare, ha scelto di combattere il male che affligge da sempre questo Paese: la criminalità organizzata, la corruzione, il compromesso morale che insidia la democrazia dall’interno. La sua opera non è finita e il suo sacrificio non può essere confinato a una ricorrenza. Oggi, più che mai, la memoria va tradotta in impegno concreto e attuale, perché la mafia non è scomparsa, ha solo cambiato volto, ammazza di meno ma è la prima industria del paese, quindi è forte come non mai ed è diventata più silenziosa, più sottile, più infiltrata nei gangli vitali della nostra società, nell’economia, nella politica, nella pubblica amministrazione, nei poteri deviati dello Stato.
Ricordare Falcone significa capire che la lotta alle mafie non si esaurisce nelle aule dei tribunali, ma continua ogni giorno in tutti i settori dove si annida l’illegalità. Onorare la sua memoria vuol dire opporsi, oggi, alle nuove forme di mafia, combattere le collusioni, respingere il cinismo, rifiutare il silenzio.
Commemorare Giovanni Falcone purtroppo è diventato anche un momento retorico, poiché molti che lo avversarono in vita lo celebrano da morto, e molti che lo lasciarono solo ne parlano come fosse un amico.
Il sacrificio di Falcone è stato un appello, un invito a non voltarsi mai dall’altra parte a non abituarsi mai al male, sapendo che spesso il male è proprio accanto a te, così vicino da non poterti difendere.
Il 23 maggio serve a non dimenticare che la Repubblica si costruisce ogni giorno, con il coraggio degli onesti e spesso con il sangue degli eroi.
Il 23 Maggio 1992, non si trattò di un omicidio plurimo, ma del tentativo di persone con scarsa cultura, di mettere a tacere un idea, che è sopravvissuta ma che stenta ad andare avanti. In un paese dove serie e film sulla mafia mitizzano la criminalità, dove lo stato è visto come un mostro, dove il rispetto della legge è poco più che una necessità per evitare guai con la giustizia.
Oggi Falcone mi fa ricordare che essere un uomo o donna di stato non vuole dire essere al servizio di un potere arcigno, ma della collettività, essere un uomo o donna di Giustizia non vuole dire essere un servo della legge, perché la legge non è giustizia, la legge è legge, ed è imperfetta come gli uomini che l’hanno scritta.
La giustizia è qualcosa di non scritto e che alberga nella coscienza di ognuno di noi quindi guardiamoci bene oggi da chi governa, quello non è lo stato, lo stato siamo noi, guardiamoci da chi ci indica le strade semplici ed illegali, non vogliono il nostro bene e soprattutto quello delle persone a noi vicine che ci amano. L’ essere umano è quello che è solo grazie al proprio cervello, non abbiamo pelliccia, zanne, artigli, forza e velocità, abbiamo solo il cervello, cerchiamo sempre di usarlo secondo coscienza!
È dunque necessario diffondere la cultura della legalità, in particolare fra i più giovani, affinché crescano avendo ben chiari i propri diritti e i propri doveri, nella consapevolezza che il sano sviluppo della società esige il costante impegno di tutti e di ciascuno. Genitori, docenti, educatori devono insegnare ai più piccoli, fin dalla tenera età, che rispettare le leggi è fondamentale per garantire una società più sicura e più accogliente: il rispetto delle regole sociali è una condizione necessaria per la salvaguardia delle libertà, per la garanzia di giustizia e per la pace.
Essere giusti, non significa però essere moralisti e indossare i panni del censore, significa essere persone rette che non si lasciano sedurre dalla tentazione di imbrogliare e di anteporre i propri interessi personali a svantaggio degli altri, significa ripudiare la mentalità mafiosa che, come ha insegnato Giovanni Falcone, prescinde dall’appartenenza all’organizzazione criminale.
La promozione della legalità implica dunque impegno nel contrasto ad ogni forma di corruzione, di prevaricazione e di inganno. La corruzione, in particolare, è un vero e proprio cancro della società, un male che divora i tessuti sociali, che altera le relazioni, che crea disuguaglianza e discriminazione, un male che va combattuto unendo le forze.
La mafia si fonda sulla corruzione ed è per questo che per contrastarla efficacemente occorre rafforzare la fiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni: gli uomini e le donne che svolgono funzioni pubbliche dovrebbero quindi operare sempre con spirito di servizio, agendo nell’interesse di tutti e non per interessi personali.
La fiducia nello Stato e nelle sue articolazioni periferiche, assieme alla promozione della cultura della legalità sono indispensabili perché, come diceva Paolo Borsellino, per sconfiggere la mafia non sono sufficienti le attività repressive e giudiziarie poste in essere da magistrati e polizia: “bisogna togliere attorno alla mafia l’acqua in cui questo immondo pesce nuota. E l’acqua la si toglie, da un alto, insegnando ai giovani a diventare cittadini, a sapersi riconoscere nelle istituzioni pubbliche”.
In questa giornata, dedicata alla legalità, dobbiamo soprattutto ricordare che noi abbiamo un debito verso coloro che sono morti per liberare la società dalla mafia e questo debito, come disse nel discorso Paolo Borsellino alla veglia per Giovanni Falcone, “lo dobbiamo pagare gioiosamente, continuando la loro opera: facendo il nostro dovere, rispettando le leggi, anche quelle che ci impongono sacrifici”.
Giovanni Falcone si trovò molto spesso solo nel suo cammino, solo quando insinuarono che si prendeva troppa confidenza con Buscetta, solo quando i diari di Chinnici furono utilizzati per gettare ombre sul suo operato, solo quando fu costretto a “mettere i piedi sul sangue del suo amico più caro”, Ninni Cassarà, e poi fu sempre solo perché rinunciò a una vita normale, tanto da doversi spesso tenere a distanza dall’adorata moglie Francesca Morvillo da cui pensò addirittura di divorziare pur di tutelarne l’incolumità.
Anche se assassinati dalla criminalità organizzata, Falcone, Borsellino, e gli altri, sono morti da uomini liberi e noi abbiamo il dovere morale e civile di raccogliere la loro eredità, di fare memoria vera, attiva, profonda. Perché la legalità non sia mai solo una parola, ma un impegno quotidiano ed è per questo che SonoSoloParole e tutta Radio Febbre esprimono il loro fermo No alla Mafie di qualsiasi genere per 365 giorni l’anno!
Qualche tempo dopo i tragici avvenimenti di Capaci, sull’onda della rabbia e dell’indignazione popolare per l’assassinio di Falcone, la grande poetessa milanese Alda Merini scrisse la poesia “Per Giovanni Falcone”, un omaggio al coraggio di chi aveva combattuto contro quel cavallo nero chiamato “mafia”, ma anche un atto di denuncia nei confronti di chi non ha mai preso le distanza della mafia ed è con questa poesia che voglio concludere questo mio ricordo sui questi eroi e dire ancora una volta “scusateci se non siamo stati in grado di proteggervi e starvi accanto nella vostra anzi nostra battaglia” che ora è una battaglia di tutto l’Italia onesta!
La mafia sbanda,
“Per Giovanni Falcone” di Alda Merini
la mafia scolora
La mafia scommette,
La mafia giura
Che l’esistenza non esiste,
Che la cultura non c’è,
Che l’uomo non è amico dell’uomo.
La mafia è il cavallo nero
Dell’apocalisse che porta in sella
Un relitto mortale,
La mafia accusa i suoi morti.
La mafia li commemora
Con ciclopici funerali:
Così è stato per te, Giovanni,
Trasportato a braccia da quelli
Che ti avevano ucciso.
Stavolta le mie non Sono Solo Parole… Non abbiate paura di dire la vostra opinione!
Da parte mia è tutto.
Scritto da: SonoSoloParole
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