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Dicembre

1 Dicembre 2024
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“Wild God” il nuovo album di Nick Cave & The Bad Seeds.

Il 30 Agosto 2024 è uscito Wild God (tradotto Dio selvaggio) il nuovo album di Nick Cave & The Bad Seeds.

Nick Cave, all’anagrafe Nicholas Edward Cave, è un cantautore, compositore, scrittore, sceneggiatore e attore australiano.

Grazie ad una serie di notevoli album e intense esibizioni dal vivo, ha coniato uno stile lirico e musicale inconfondibile, che lo ha imposto come una delle figure più influenti e carismatiche della musica contemporanea.

Dagli esordi post-punk ai lavori recenti, più vicini al cantautorato, Cave ha sviluppato una personalissima rielaborazione dei generi cardine della musica nata negli Stati Uniti (blues, gospel, country), affrontati con lo spirito cupo e sperimentale della new wave e del gothic rock, anche grazie alla sua caratteristica voce gutturale da baritono. I suoi testi, attraversati da una forte tensione religiosa e da un costante senso di apocalisse imminente, affrontano tematiche quali il ruolo del divino nella vita dell’uomo, la ricerca della redenzione, l’angoscia esistenziale e l’amore perduto.

Nick Cave è stato inserito dal critico Piero Scaruffi al primo posto della classifica dei più grandi cantautori della storia.

La band The Bad Seeds nacque nel 1983, su iniziativa del cantante Nick Cave e del polistrumentista Mick Harvey, entrambi già membri della rock band The Birthday Party, scioltasi in quello stesso anno, con lo scopo di supportare la carriera solista, come cantautore, di Cave.

Ai due si aggiunsero il chitarrista Blixa Bargeld, membro della già nota band Einstürzende Neubauten, il chitarrista Hugo Race e il bassista Barry Adamson. Inizialmente la band si esibì col nome The Cavemen, cambiandolo dopo poco in Nick Cave and the Bad Seeds.

L’attuale formazione dei Bad Seeds è composta da Thomas Wydler, Martyn Casey, Jim Sclavunos, George Vjestica e dal collaboratore di lunga data e produttore del disco Warren Ellis.

Il disco Wild God è stato registrato tra Francia e Inghilterra negli studi Miraval in Provenza e nei Soundtree Studios di Londra. Cave ha iniziato a scrivere l’album il giorno di Capodanno del 2023.

È finito il tempo del dolore, il nuovo album coi Bad Seeds offre tre quarti d’ora di redenzione dalla disperazione cantata negli ultimi dieci anni. È un disco euforico, diretto, toccante, e ha la semplicità che solo i grandi possono permettersi.

Ci sono dieci versioni di Nick Cave nel suo nuovo album con i Bad Seeds, una per ogni canzone di Wild God.

In mezzo a una nebbiosa prateria di cori e archi Nick Cave prende le mosse e viaggia, affiancato dal fedele compagno di viaggio Warren Ellis, in un album che ha al suo interno una collaborazione con Colin Greenwood dei Radiohead (che accompagnerà Nick Cave nel suo tour solista in Australia che prenderà il via il prossimo 25 aprile) , la chitarra di George Vjestica e la batteria del navigato Thomas Wydler all’interno di un gruppo affiatato e sempre sul pezzo che arriva a raggiungere i nove elementi.

La perdita di due dei suoi quattro figli, Arthur nel 2015 e Jethro nel 2022, ha reso necessario un percorso di introspezione dolorosa che ha nutrito i suoi precedenti album, come Skeleton Tree o Ghosteen. Questi lavori sono caratterizzati da un tono cupo e meditativo, tesi com’erano alla ricerca di un senso per lenire la sofferenza.

Con Wild God, Cave sembra invece ritrovare una nuova prospettiva, volta alla celebrazione dell’esistere, lui stesso ha descritto Wild God come un’esplosione di vita, un’opera che riflette un senso di speranza e ottimismo.

La musica è più esuberante e vibrante, segnata da influenze rock ed elettroniche che plasmano un’atmosfera di rinascita e trasformazione.

Wild God è la versione di Nick Cave d’una messa di Harlem, un’esperienza liminale tra sonno e coscienza, mito e realtà. È uno di quei dischi che dicono cose semplici e lo fanno in modo poetico, di quelli che solo grandissimi come lui possono permettersi di fare. È una cerimonia pop in cui ogni pezzo racconta un’esperienza trasformativa, è una parabola sull’amore ambientata in un mondo che è questo, ma è anche un altro. Come attratto da una forza misteriosa, questo carico di musica e parole, di suoni ed emozioni parte da una qualche miseria, a volte di nuovo la morte di un figlio, e tende inesorabilmente verso una forma di realizzazione estatica o se preferite di pura e semplice ed elementare felicità.

È un hallelujah alla vita com’è, nel bene e nel male. È un disco che grida gioia, gioia, gioia.

La caratura è quella delle opere migliori del Cave maturo. Se altri suoi dischi potevano sembrare a tratti troppo verbosi, troppo personali, troppo introversi per colpire, questo è fatto per farti muovere e commuovere.

C’è un forte richiamo ad essere presente alla propria esistenza, ora, adesso. Il pensiero del futuro non c’è, il passato va messo alle spalle, l’imperativo è accettare e abbracciare la vita.

La canzone “Song of the Lake”, molto bella, scena fiabesca su un uomo testimone della bellezza di una donna che è assieme immensa e dolorosa, che è dolorosa poiché immensa, racconta la storia di un uomo anziano che trova la pace osservando una donna immergersi in un lago dorato.

È gioia fin dal titolo “Joy”, che ha un testo che si rifà al canone blues ed è un miscuglio di immagini fenomenali, dolore, lutto, sogno, con un coro che è una stretta confortante, a noi e al cantante, e l’immagine di un fantasma con un paio di enormi scarpe sportive ai piedi (che sia il figlio?) che gli dice che “abbiamo avuto troppi dispiaceri, è il momento della gioia”.

Joy” liberatoria e consapevole, dove la gioia è violenta e al tempo stesso quasi temibile, da avere vergogna; nella sensazione di un uomo in piedi davanti al vuoto, e che comunque lì trova un senso; nel «nevermind» urlato sempre più forte dell’opener “Song of the lake”, quasi un invito a tornare a meravigliarsi di ciò che abbiamo intorno. Non è una rinascita, ma una guarigione: non si torna mai com’era prima. Un wild ghost che consiglia al protagonista della canzone di lasciar andare il passato, “Said, we’ve all had too much sorrow, now is the time for joy”, canta in “Joy”.

In “Frogs”, rane che sguazzano felici in uno stagno e saltano in alto. Forse anche loro mirano senza saperlo alla trascendenza o all’infinito e poco importa se ogni volta ricadono in basso, nel fango.

Wild God è anche un disco di donne che cercano di salvare uomini (Final Rescue Attempt, forse per la moglie Susie Beck).

Il disco musicato con un mix tra il suono caldo dei Bad Seeds maturi, occasionali interventi orchestrali che somigliano a una tempesta benevola, cori e voci che svolazzano attorno a quella del protagonista. Spesso, più che canzoni costruite in modo tradizionale sono racconti in musica, ma a differenza di molti altri recenti album di Cave, Wild God è volutamente accessibile, carico di un’emotività diretta, semplice, umanissima, pop.

“Wild God” riporta la band di Cave fuori dall’ombra anche in studio: per esempio, sentendo il piano e le aperture di brani come “Final rescue attempt” non può tornare in mente “Let love in”, ma è un Cave molto diverso, più maturo, che non parla più del lato oscuro dell’amore.

I giorni selvaggi e nichilisti dei Bad Seeds sono andati, passati, alle spalle, da ombre del male Cave li ha riconvertiti in apostoli del bene.

Wild God è il punto d’arrivo magari solo temporaneo del percorso di evoluzione del personaggio e di esplorazione del dolore iniziato con la morte del figlio Arthur. Qui ogni cosa è illuminata. È la vita che s’afferma dopo la morte. “Get ready for love”, cantava Cave vent’anni fa, ma neanche quella canzone esplosiva poteva prepararci a queste “trionfanti metafore d’amore”, a questo teatro di sentimenti positivi che solo un pazzo potrebbe considerare buonista, a questo suono che è rock ma anche soul e gospel e sembra un’onda a cui è difficile se non inutile resistere.

Di questa trasmutazione tra sofferenza e gioia, testimonia anche “O Wow O Wow” (How Wonderful She Is), canzone dedicata ad Anita Lane, suo grande amore giovanile e già membro dei Bad Seeds, morta nel 2021 a 61 anni. Uno dei tanti lutti, anche se non il più grave, che hanno toccato l’artista negli ultimi anni. Tuttavia, non è una canzone di lutto, ma piuttosto di celebrazione di una creatura luminosa, scintillante, bella, felice, ridente intorno a cui tutti noi giravamo intorno, e la cui voce registrata due anni prima della morte compare in coda alla canzone ,un ritratto dolce e campagnolo che ha qualcosa di fiabesco (di nuovo), una trappola ben architettata da Cave e dai suoi per farti innamorare di lei e poi farti commuovere quando parte un messaggio lasciato nel 2019 nella segreteria telefonica del cantante.

La prova questa gioia, dello stupore che si prova di fronte alla vita si sente anche in “O Wow O Wow (How Wonderful She Is), una dedica tenera, tutt’altro che dolorosa, che si apre dichiarando che “She rises in advance of her panties/I can confirm that God actually exists” e si chiude con un messaggio vocale della stessa Lane in cui si ricordando il divertimento dello stare assieme.

In “As the Waters Cover the Sea”, un’immagine presa dal Libro di Isaia (“perché la conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare”), altra metafora di rinascita, due minuti conclusivi semplici e pazzeschi, dallo spirito quasi natalizio.

In questo album troviamo un Cave molto diverso, che non parla più del lato oscuro dell’amore: oggi è piuttosto “Amazed of love and amazed of pain, Amazed to be back in the water again”, come le rane di “Frogs”. Un riferimento fa venire in mente i pesci di David Foster Wallace che invece non sanno cos’è l’ambiente in cui vivono in “Questa è l’acqua”. Cave invece ha imparato a sue spese come sono fatti l’acqua e il fango in cui vivono le rane e anche gli uomini.

Oggi Cave è “Touched by the spirit and touched by the flame”, come ripete nel finale corale e travolgente di In “Conversion” una fiamma purificatrice porta il protagonista a riscoprire la bellezza, dopo che uno spirito che potrebbe essere ancora il ghosteen risponde a una preghiera dai toni molto blues (“Said, we’ve all had too much sorrow, now it’s time for joy”).

Cave ne descrive ogni traccia come una conversione individuale, immergendo l’ascoltatore in paesaggi sonori che oscillano tra il dubbio e la fede. La voce di Cave, paragonata a quella di un predicatore, guida l’ascoltatore attraverso storie di perdita e di redenzione. Le canzoni vivono di melodie avvolgenti e testi profondi, che esplorano l’altalena perenne della condizione umana.

Che dire Cave, una volta considerato il “padrino del goth”, si pone oggi come un predicatore di gioia. Wild God parla, senza parlare, di un’elevazione sopra il dolore, con melodie che sollevano l’anima e testi che celebrano la connessione umana.

Lo scorso anno è uscito nei cinema This Much I Know To Be True, il documentario di Andrew Dominik dedicato alla partnership artistica tra Nick Cave e Warren Ellis.

“Long Dark Night” è un intima ballata crepuscolare è ispirata alla poesia “Dark Night of the Soul” del poeta spagnolo del XVI secolo San Giovanni della Croce. Attraverso i suoi testi riflessivi, il brano evoca i temi della poesia di lotta e trascendenza.

Nei dieci brani che compongono in totale Wild God non mancano i pezzi volitivi come “Song of the Lake”, emblematica ouverture che ci anticipa la chiave di lettura musicale principale, il crescendo mistico maestoso che qui avvolge tutto dall’inizio mentre nella title-track parte secco come una raffica improvvisa, annunciato soltanto dall’erompere del coro.

Contemplando il dolore, la morte e la sofferenza, l’ex principe delle tenebre del rock trova l’euforia nonostante tutto, in un album di gioia contagiosa e melodia emozionante.

Wild God è un promemoria per ricordare che i nostri cari non vorrebbero che ci svegliassimo ogni mattina “con il blues”, come canta Cave. Qui sono i suoi stessi figli che quasi tornano a parlargli, per incoraggiarlo finalmente a vivere.

Wild God è un capolavoro art rock, che unisce al rock più tradizionale le migliori sonorità post-punk sperimentali e il blues del Delta (uno dei primi stili di musica Blues nato tra la fine degli anni venti e i primi anni trenta).

L’album è un’opera labirintica e stimolante, che riflette la genialità di Cave come artista. Le dieci tracce del disco sono caratterizzate da arrangiamenti orchestrali complessi e da una produzione attenta ai dettagli. La voce di Cave, potente e carismatica, si intreccia perfettamente agli strumenti, creando un’esperienza sonora immersiva e coinvolgente. C’è un inedito senso di abbandono, di gioco in Wild God, qualcosa di contagioso, che dichiara con sicurezza: “arriveranno anche tempi migliori”.

Intendiamoci Cave è quanto di più lontano ci possa essere dalla leggerezza insostenibile del pop moderno, le sue canzoni sono sempre intrise di dolore, sofferenza e morte, ma questa volta alla fine del tunnel c’è la luce, un’euforia inedita e contagiosa.

Il principe delle tenebre si converte al suo “Wild God” e ritrova, forse, la luce ed è illuminato ed illuminante come non mai!

“Wild God” verrà presentato dal vivo da Nick Cave e i Bad Seeds con un tour che farà tappa anche in Italia per un’unica data fissata per il 20 ottobre al Forum di Assago.

Da parte mia è tutto.

Alla prossima da SonoSoloParole

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